Livio Berruti: «Io e Mennea mondi diversi. Io mi divertivo. Lui ossessionato dall’etica del lavoro e anche dagli aspetti economici»
Alla Gazzetta: «A Formia mi tese un agguato con un gruppo di tifosi esaltati e suo fratello che mi tirò un pugno. Poi fece finta di regalarmi la maglia dell'oro di Mosca ma non era quella»

Db Milano 22/02/2010 - commemorazione a un anno dalla morte di Candido Cannavo' / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Livio Berruti
Livio Berruti: «Io e Mennea mondi diversi. Io mi divertivo. Lui ossessionato dall’etica del lavoro e anche dagli aspetti economici»
Bellissima intervista della Gazzetta dello Sport a Livio Berruti oro sui 200 metri alle Olimpiadi di Roma del 1960. Oggi ha 86 anni.
Roma ‘60 è anche l’Olimpiade di Wilma Rudolph che vinse 3 ori: 100, 200 e staffetta veloce. Eravate diventati qualcosa più che amici?
«Ma no, fu amore platonico. Wilma aveva un sorriso radioso e una straripante vitalità. Aveva 20 anni, era la ventesima di 22 figli e aveva rischiato di non poter camminare per poliomielite, ma a Roma volava».
Ci sono però le foto di voi due che camminate mano nella mano nel villaggio olimpico e si racconta che Cassius Clay, gelosissimo, vi cercasse.
Livio Berruti: «Di Clay, fortunatamente, l’ho saputo dopo… La passeggiata c’è stata perché Wilma venne a cercarmi e mi ha regalò la sua tuta Usa, che conservo ancora. Io non me lo aspettavo e non ho potuto ricambiare. Ma non siamo andati oltre la passeggiata mano nella mano. A quei tempi non poteva esserci nulla prima e durante, semmai dopo. Ma abbiamo disputato le finali delle 4×100 l’ultimo giorno dei Giochi e lei è partita subito dopo. Ero timidissimo e non avevo i soldi per pagarle un altro volo. L’ho rivista qualche anno dopo. Ma era già sposata».
Livio Berruti: «Mi allenavo poco o niente»
È vero che lei si allenava poco?
«Poco o niente. Per me l’atletica era gioia e piacere. La curva dei 200 metri ben fatta era un’esperienza erotica. Mi allenavo 2 o 3 volte alla settimana, senza pesi, improvvisando molto e senza fare troppa fatica».
Un atteggiamento agli antipodi, rispetto a Mennea, l’altro italiano olimpionico dei 200.
«Eravamo due mondi completamente diversi. Come Platone contro Aristotele. Io pensavo solo a divertirmi e non ho mai monetizzato il mio impegno. Lui ossessionato dall’etica del lavoro e dell’impegno ma anche dagli aspetti economici dello sport».
Avete avuto anche degli scontri.
«Nel 1979 mi accusò di avergli dato del “fifone” in un’intervista. Ma non era vero. A Formia però mi tese un agguato con un gruppo di tifosi esaltati e suo fratello che mi tirò un pugno. Poi, nel 1985, per recuperare, mi regalò in diretta, alla Domenica Sportiva, la maglia azzurra dell’oro di Mosca ‘80. Mi era sembrato un gran gesto, ma quando ho aperto la scatola, mi sono accorto che non era la maglia dell’Olimpiade, perché quelle hanno il numero cucito…».