Davvero i calciatori si annoiano a “giocare male”, a giocare per il risultato? Inchiesta di Athletic: la risposta è no
L'abiura di Guardiola sta scombussolando il dibattito, con risultati sorprendenti. Allenatori e giocatori in anonimato dicono che anche la sofferenza è un godimento se poi porta alla vittoria

Tottenham Hotspur's Italian head coach Antonio Conte (L) is greeted by Manchester City's Spanish manager Pep Guardiola ahead of the English Premier League football match between Manchester City and Tottenham Hotspur at the Etihad Stadium in Manchester, north west England, on January 19, 2023. (Photo by Oli SCARFF / AFP)
Che succede quando ai giocatori dici che devono “giocare male”? Che per vincere il divertimento è un accessorio? È un tema di attualità, visto il grande ritorno dei “risultatisti” (qualsiasi cosa significhi) al potere dopo l’abiura di Pep Guardiola. E Athletic ha approfondito il tema sondando la Premier League. Esempio: finale di Fa Cup del 2007 tra Chelsea e Manchester United, “sonnambulismo organizzato più che a una partita di calcio. Un gol decisivo di Didier Drogba ai supplementari unica tregua dopo due ore di stallo, proprio come piaceva a José Mourinho”.
“Ho chiesto ai giocatori se volevano godersi la partita o il dopo partita”, raccontò lui. “Mi hanno detto che volevano divertirsi dopo la partita. Durante la partita non è stato molto divertente perché i giocatori hanno dovuto pensare a molti aspetti tattici per controllare gli avversari. Non è facile perché ti stanchi. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente“.
La ricerca del bel gioco – scrive Athletic – “sta venendo sostituita da uno sterile pragmatismo, la spontaneità individuale sta venendo sostituita da una tabella di marcia tracciata utilizzando i dati. Queste sono tendenze che stanno cambiando il volto del gioco, ma che impatto hanno sulla dinamica tra allenatore e giocatore? I giocatori si limitano a eseguire gli ordini o stanno opponendo resistenza al passaggio a un gioco meno libero e attraente? Gli allenatori sono diventati ancora più potenti o devono impegnarsi di più per far arrivare il loro messaggio in questo mondo ricco di informazioni?”.
Marc Albrighton era l’ala sinistra di Ranieri al Leicester: “Dovevamo essere così solidi e compatti che nulla avrebbe potuto attraversarci: avrebbero dovuto aggirare l’area. Abbiamo lavorato su quattro schemi per tutta la stagione per assicurarci di avere uno sfogo. Ho giocato in squadre difensive in cui sembrava che ci volesse un miracolo per segnare e pensavi: ‘perché giochiamo così quando potremmo essere più avventurosi e mettere alla prova la loro difesa?'”.
“I giocatori accetteranno tutto se vincono”, ha detto a The Athletic un allenatore della Premier League che, come altri, ha preferito rimanere anonimo perché non autorizzato a parlare pubblicamente. “Sono contento che stiamo assistendo di nuovo a un campionato più pragmatico, con squadre che cercavano di giocare senza riuscirci. C’era pressione sugli allenatori affinché giocassero anche se le qualità dei loro giocatori non erano adatte. Improvvisamente, agli allenatori viene data la possibilità di gestire la partita come meglio credono per vincere“. Tutti vogliamo giocare un calcio emozionante, ma cosa significa? Cinquanta passaggi con portieri e difensori centrali? Il calcio è ancora fondamentalmente uno sport d’invasione. Si tratta di arrivare fino alla porta avversaria. Per fortuna, stiamo abbandonando l’ossessione del possesso palla”.
L’ex vice allenatore dell’Anderlecht e del Wolverhampton Wanderers, Ian Burchnall, che ha guidato squadre in Svezia, Norvegia e Inghilterra, dice che “è davvero importante spiegare il perché e mostrare loro che ci sono modi per godersi la sofferenza, ascoltando i tifosi quando guadagniamo terreno dopo un periodo di pressione”.
“Mostriamo l’1% di momenti in cui un giocatore ha vinto un contrasto che non avrebbe dovuto o abbiamo bloccato un passaggio in area, poi la reazione dei tifosi che festeggiano come un gol”, afferma un allenatore di un club di Champions League in Europa.
Un allenatore ricorda un attaccante di alto profilo che protestò contro la decisione di schierarlo come ala anziché come attaccante. Ciò significava che avrebbe dovuto seguire il terzino avversario e questo non gli avrebbe consentito di ottenere i bonus gol previsti dal suo contratto.
“Non posso dire una parola negativa su Maresca per quanto riguarda il modo in cui ha rimesso in piedi il Chelsea, ma a volte l’allenamento poteva essere un po’ noioso quando eri lì in panchina senza fare nulla mentre lui lavorava sulla costruzione della squadra dal portiere ai difensori centrali al centrocampo”, dice Albrighton.
“Ora ci si aspetta che i giocatori siano organizzati al massimo delle loro possibilità il venerdì”, racconta un assistente della Premier League a The Athletic.
“Sanno di essere nel campionato migliore del mondo, con le migliori risorse, e il loro peggior incubo è non avere un piano. Sono creature molto più dipendenti dall’allenatore, soprattutto perché siamo stati noi a renderle tali. Parliamo del fatto che non ci siano decisori e leader, ma pensate al percorso di un giocatore ora: sono nelle accademie, quindi non devono prendere decisioni. Si sta cercando un equilibrio, perché servono ancora pensatori indipendenti e giocatori in grado di risolvere i problemi in tempo reale”.
“Alcuni allenatori – scrive Athletic – ritengono che l’intellettualizzazione del gioco abbia inavvertitamente diluito l’apprezzamento generale di principi fondamentali come il duro lavoro e il cameratismo, sebbene questi rimangano fondamentali ai vertici di questo sport”.