Jackie Stewart: «Denunciai la mancanza di sicurezza in Formula Uno e ricevetti minacce di morte, provarono a entrare in casa»

Al Times racconta la demenza senile di sua moglie: «È una malattia terribile, non c'è cura. Ho perso così tanti amici in F1, piansi al funerale di Jim Clarke»

Jackie Stewart

Former British Formula One racing driver Jackie Stewart gestures after her performed an exhibition lap ahead of the Bahrain Formula One Grand Prix at the Bahrain International Circuit in Sakhir on April 13, 2025. (Photo by Giuseppe CACACE / AFP)

Jackie Stewart e la demenza senile di sua moglie: «È una malattia terribile, non c’è cura. Ho ancora l’autografo di Fangio»

Il Times ospita la testimonianza di Jackie Stewart, probabilmente un estratto di quel che dirà al festival di Goodwood a settembre. È un suo testamento sulla demenza senile che ha colpito sua moglie. L’ex fuoriclasse del Formula Uno ha 86 anni. Tre volte campione del mondo. Ha vinto 27 gran premi. Ha dato vita alla fondazione “Race Against Dementia”.

Il Times scrive

«Oggi non sono più uno che si alza presto, anche se mi sveglio verso le 7 del mattino e faccio 35 minuti di esercizi. Per colazione mangio papaya e un uovo sodo, poi mi piace portare a spasso i miei terrier Norfolk, Jack e Jill, per circa un’ora. (…) A Helen è stata diagnosticata la demenza nel 2014. Ora ha 84 anni e ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. Qualche anno fa ho costruito un appartamento appositamente adattato accanto alla nostra casa, dove può essere assistita da specialisti. Sono fortunato ad aver potuto permettermelo: non volevo che andasse in una casa di cura».

Jackie Stewart e la battaglia contro la demenza senile

«Molte persone con questo tipo di demenza finiscono per andare in case di cura e, dopo aver fondato “Race Against Dementia” nel 2016, ne ho visitate alcune. A volte ne uscivo in lacrime. È una malattia terribile e non c’è una cura. Il mio ente di beneficenza vuole cambiare la situazione, per questo ho investito milioni nella ricerca. (…) Ci siamo incontrati da adolescenti a un appuntamento al buio al caffè Dino’s a Helensburgh, una città di mare sul Firth of Clyde. Abbiamo iniziato a frequentarci e questo è quanto. All’epoca ero un meccanico e Helen mi conosceva come campione di tiro al piattello, non come pilota automobilistico. Ero un membro della squadra scozzese di tiro».

«A scuola ero considerato un asino, avevo la dislessia ma all’epoca nessuno lo sapeva. Ho vinto la mia prima gara di tiro perché era Capodanno e tutti gli altri avevano i postumi della sbornia, ma io ero troppo giovane. Nessuno mi ha insegnato a guidare, ho imparato molto da mio fratello Jimmy. Guidava per il team Ecurie Ecosse e ha gareggiato al Gran Premio di Gran Bretagna nel 1953 di Formula 1. Andavo a Silverstone e a Goodwood con lui e riempivo il mio libro degli autografi con nomi famosi: era l’epoca di Mike Hawthorn, Stirling Moss e Juan Manuel Fangio. Ce li ho ancora. La mia prima auto, a metà degli anni Cinquanta, è stata un’Austin A30 che costava 375 sterline. Per comprarla ho risparmiato tutte le mance che ricevevo in garage».

«Negli anni ’60 il motorismo era affascinante ed entusiasmante. Helen era spesso lì nella corsia dei box, con il cronometro in mano a incoraggiarmi. Il rovescio della medaglia era che era pericoloso. Ho perso così tanti amici, tra cui Jim Clark e il mio compagno di squadra François Cevert. Ogni fine settimana mettevamo a rischio le nostre vite. I vertici non volevano cambiare e sarei stato più popolare se non avessi parlato apertamente degli standard di sicurezza. Ho ricevuto minacce di morte: alcuni uomini hanno persino cercato di fare irruzione in casa quando Helen era lì con i ragazzi. Quest’estate sono stato a Goodwood per commemorare i 75 anni della Formula1 e il mio record imbattuto sulla pista, che ho stabilito insieme a Jim Clark il lunedì di Pasqua del 1965. Jim era un due volte campione del mondo e anche lui scozzese. Morì pochi anni dopo in un incidente di gara a Hockenheim. Ho resistito a tanti funerali, ma quel giorno ho pianto».

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