Pogacar ha mangiato il cervello a Vingegaard, lo ha traumatizzato, lo ha ridotto a parlare a vanvera (L’Equipe)
"Ha dimostrato di non essere pronto a morire per provare a batterlo. È come se lui e la squadra avessero accettato di arrivare secondi, quindi accettato la sconftta"

UAE Team Emirates - XRG team's Slovenian rider Tadej Pogacar wearing the overall leader's yellow jersey (L) and Team Visma - Lease a bike team's Danish rider Jonas Vingegaard (R) cross the finish line hand in hand after the 10th stage of the 112th edition of the Tour de France cycling race, 165.3 km between Ennezat and Le Mont-Dore Puy de Sancy, in central France, on July 14, 2025. (Photo by Loic VENANCE / AFP)
“Il Tour non è finito”. L’Equipe scrive che “avremmo preferito lanciarci da una di quelle cime rocciose dove si era radunata la folla in cima al Col de la Loze, un popolo gioioso e agitato, i cui profili e le cui sagome formavano una sorta di teatro delle ombre nella nebbia, per poi schiantarci più in basso su un letto di rocce e fiori selvatici, piuttosto che sentire Jonas Vingegaard pronunciare queste parole all’arrivo”. Perché invece il Tour de France è finito, altroché. Lo sta dominando il dittatore Pogacar , e l’altro, l’unico che poteva impensierirlo, il povero Vingegaard, non può farci niente.
“Avremmo potuto anche strapparci tutte le unghie di entrambe le mani – scrive nel suo commento Alexandre Roos – Ci sono limiti al parlare a vanvera, all’autoconvincimento, al prendere in giro gli altri e soprattutto noi stessi. Capiamo che il danese non può affermare il contrario, ma non è nemmeno obbligato a snocciolare come un automa una frase in cui non crede, e in cui non riesce a credere dall’inizio del Tour de France: non è mai riuscito a strappare un solo secondo a Tadej Pogacar. E la tappa di giovedì ci ha dimostrato che non ci crede più”. Ancora più del Ventoux.
“Pensavamo che la situazione fosse ideale per i Visma, il loro leader stava navigando con il suo miglior gregario in montagna in avvicinamento all’ultimo passo, dove quest’ultimo avrebbe dovuto solo svuotare il serbatoio per allestire la rampa di lancio e, poi, Vingegaard si sarebbe lanciato nel pendio, per la vita o la morte. Ebbene, no. La squadra olandese si è fermata a metà strada, non ha portato avanti la sua idea, e il suo management non ci farà credere che sia perché nessuno era con loro. Hanno creato questa situazione, spetta a loro assumersene la responsabilità, e cosa gli importava degli altri? La loro unica missione non dovrebbe essere quella di cercare di dare una scossa a Pogacar?”
“Jonas Vingegaard ci ha convinto che non era pronto a perdere tutto per provare a vincere il Tour de France, che non era pronto a “morire” per batterlo. Come se in lui ci fosse un freno, una paura, un trauma, tanto che il suo miglior nemico gli ha rotto le gambe e mangiato il cervello fin dal Critérium du Dauphiné, o anche prima”.
“Come se, nonostante la facciata dei discorsi, lui e la sua squadra avessero accettato la sconfitta da un po’, difendendo il secondo posto e inseguendo qualche tappa.