Timothee Chalamet: «Quando ho detto a mamma di aver vinto un premio per A Complete Unknown mi ha detto: “però non dimenticare di piegare il bucato”»
A U: «Volevo essere un calciatore in effetti. Ammiravo moltissimo Jimmy Briand, un attaccante francese. In Francia c’è una rivista di calcio, Onze Mondial, che ha dei poster fantastici»

Mc Roma 17/01/2025 - Red carpet del film "A complete unknown / foto Mario Cartelli/Image nella foto: Timothee Chalamet
Roberto Croci per U la Repubblica ha intervistato Timothee Chalamet, l’attore che ha portato sul grande schermo Bob Dylan in A Complete Unknown.
A tenerlo con i piedi per terra ci pensa sua mamma: «Quando le ho detto che avevo vinto lo Screen Actors Guild per il ritratto di Dylan in A Complete Unknown, lei che ha un senso dell’umorismo unico e mi considera ancora un bambino, mi ha detto: “Prima di uscire di casa però non dimenticare di piegare il bucato”».
Forse perché vuole ricordarle ogni giorno che il suo sogno non era diventare attore?
«Volevo essere un calciatore in effetti (ride, ndr). Ammiravo moltissimo Jimmy Briand, un attaccante francese. In Francia c’è una rivista di calcio, Onze Mondial, che ha dei poster fantastici, io li usavo per tappezzare la mia stanza. Mia madre però era ballerina e tramite i suoi amici mi trovava spesso piccoli ruoli televisivi. Vivevamo in un palazzo pieno di artisti, attori, scrittori. Tanta gente di talento, ma poverissima. Infatti mi hanno spaventato, perché vedevo che una vita creativa era sinonimo di uno stile di vita difficile. L’idea di diventare attore mi terrorizzava e mio padre mi appoggiava, incoraggiandomi a cercare “un lavoro normale”».
Quando recita, di cosa è in cerca?
«Non lo so bene, forse idee nuove. Un film non si vive sullo schermo, ma nella testa dello spettatore».
E di cosa ha paura?
«Di essere noioso, risultare non interessante. Non mi preoccupo di non essere perfetto in un ruolo, prima o poi succederà. Ma la noia proprio mi spaventa».
Timothee Chalamet si prepara a riconquistare il grande schermo con MartY Supreme di Josh Safdi
Chi era Marty?
«Un campione leggendario di ping pong. Per interpretare quel ruolo ho praticato mesi e mesi. Nel film sono circondato da alcuni dei più grandi giocatori di oggi. Era un mito, indossava sempre un Borsalino e misurava l’altezza della rete con una banconota da 100 dollari».
E scommetteva come se non ci fosse un domani…
«Vinceva e perdeva fortune scommettendo sulla propria bravura e non si tirava mai indietro di fronte a una scommessa. Giocava con pentole, padelle, seduto o bendato. Il suo trucco più pazzesco era rompere una sigaretta a metà con una pallina colpita dall’altra parte del tavolo, impresa che chiamava Massacro Marlboro. Il regista Josh Safdie è geniale, per me è il nuovo Scorsese»