E se la crisi del calcio fosse il riflesso di una crisi più ampia? Non fermiamoci ai tecnicismi

POSTA NAPOLISTA - Il vuoto sociale produce conseguenze. I giovani a scuola non vengono orientati a cercare in cosa credono. Oggi il calcio è autoreferenzialità e politicamente corretto

Fagioli la crisi del calcio

A photo shows a tattoo on the leg of Juventus Italian forward Nicolo Fagioli during the warm up before the Italian Serie A football match Juventus vs Lecce on September 26, 2023, at the ìAllianz Stadiumî in Turin. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP)

E se la crisi del calcio fosse il riflesso di una crisi più ampia? Non fermiamoci ai tecnicismi

Quelle di seguito sono solo domande per una riflessione comune da poter sviluppare. Non si tratta dunque qui, a proposito della crisi del calcio italiano, di affermazioni definitive ma di piste di ricerca. Il quadro sociale di fondo invece è delineato qui con contributi meno ipotetici.

Come mai sotto Francisco Franco la Spagna era una nazionale calcistica scarsa? Quando prevalgono gli apparati, si spegne tutto. Qualcuno potrà osservare che l’Italia ha vinto due mondiali sotto il fascismo ma forse erano in tante cose situazioni diverse rispetto ai tempi attuali. Questo è un tempo in Italia in cui prevalgono i codici di apparato, le competenze viste burocraticamente… I giovani a scuola non vengono orientati a cercare in cosa credono, a cercare sé stessi in profondità ma imparano nozioni e ragionamenti astratti, pseudotecnicismo a tutto campo e finisce per emergere una falsa, omologante, etica solidaristica che non può coinvolgere più di tanto perché non tocca la ricerca identitaria libera e profonda. In tale clima prevalgono appunto i codici di apparato per cui non si cerca il vero ma si dice e si fa secondo il politicamente corretto del momento.

Nelle scuole calcio prevale uno schema limitante e ripetitivo. Ma va osservato che tanti giovani non giocano più a calcio perché prevale il vuoto che isola, non sono più ampiamente diffusi centri d’incontro come le parrocchie e questo certo non si può dire.

È interessante valutare se vi siano oggi in Italia zone che favoriscano maggiormente il sorgere di giocatori forti e può essere che si riscontrino correlazioni con una certa maggior tenuta della famiglia, dei valori religiosi, della vita comunitaria, della vicinanza umana… Pur con tanto svuotamento ovunque. Il vuoto pneumatico, nel senso di vuoto di ricerca e di partecipazione libera e profonda, non necessariamente dunque cattolica, diventa vuoto sociale dove prevale una sfrenata tecnologia. Vedere giocatori forti che si rovinano col gioco d’azzardo può fare capire tante cose.

Vi è una pressione che sfrutta i giovani che non vengono motivati in modo sano e profondo e può apparire che l’Italia sia diventata un paese di apparati più di altre nazioni. Non è forse un caso che paradossalmente ne possano risentire in positivo gli sport individuali e forse qualche sport di squadra di nicchia rispetto al calcio. Si potrebbe magari valutare se in Spagna e Portogallo l’uscita dalla dittatura con tutti i limiti del tecnicismo imperante abbia comunque potuto comportare in vario modo una certa liberazione dell’umano autentico, come nel secondo dopoguerra in Italia.

In tutto questo venire usati, è anche interessante che si dica tutto sommato poco rispetto all’evidenza che i giocatori italiani arrivano a giugno molto più esausti degli altri. Come mai? Il tifo calcistico italiano combinato col vuoto, lo sfruttamento, i codici di apparato, in vario modo mette fisicamente ma anche complessivamente sotto estrema pressione la vita dei calciatori.

Interessante anche osservare che i codici di apparato, il tecnicismo economicista, riducono e distorcono anche la maturazione delle competenze specifiche. Non si comprendono le persone, i giocatori, né umanamente ma nemmeno paradossalmente, sul piano tecnico. Pochissimi sono i dirigenti sportivi capaci di riconoscere davvero i giocatori bravi in modo libero perché prevale il politicamente corretto anche in questo campo: per esempio un giocatore che si è fatto un nome in una certa situazione piuttosto che un giocatore bravo davvero. E questo spesso sotto gli occhi persino di chi vede le partite alla televisione e, aggiungo, solo in chiaro. Vi è un’autoreferenzialità di sistema che continua a parlarsi addosso mentre il mondo crolla e sempre più consapevolmente si distacca dal sistema. E la storia dimostra che quando il prestigio del potere diventa farsa e dramma vitale, la fine del sistema si sta avvicinando.

Si può concludere osservando che, come tutto, la crisi del calcio viene spesso valutata in termini tecnicisti. È necessario in tutto un salto di qualità: tornare a cercare fin dalla scuola le vie libere e profonde della crescita e della partecipazione. Immaginiamo un profeta in antropologia teologica? Un profeta apre strade nuove a tutto campo, che toccano tutto l’uomo. Le competenze svuotate di ricerca libera e profonda diventano meri codici di apparato. Oggi la cultura, l’informazione, lavorano per venire sostituiti dall’intelligenza artificiale, non per venire letti per gli stimoli interessanti ma per svuotare e telecomandare la vita delle persone. Insomma per togliere il desiderio autentico di leggere.

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