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Sul rancore, ossia “bere tutti i giorni veleno sperando che uccida il tuo nemico”

“Il risentimento è come cercare di premere l’acceleratore di un’auto incagliata nel fango. Quanto più si accelera, tanto più l’auto affonda nel fango e meno si muove…”

Sul rancore, ossia “bere tutti i giorni veleno sperando che uccida il tuo nemico”

Sul rancore, ossia “bere tutti i giorni veleno sperando che uccida il tuo nemico”

“Bere tutti i giorni veleno sperando che uccida il tuo nemico” questa frase campeggia sulla copertina del libro di Cesare Secchi intitolato “Sul rancore”. Così nel volume ormai classico di Luis Kancyper famoso psicanalista, “Il risentimento e il rimorso”, si legge il pensiero di un paziente “il risentimento è come cercare di premere l’acceleratore di un’auto incagliata nel fango. Quanto più si accelera, tanto più l’auto affonda nel fango e meno si muove… Si è come in un vicolo cieco”. Devo dire francamente che considero quella degli uomini rancorosi la peggiore e più sgradevole comunità di esseri umani. Uomini sempre riversati su se stessi e sulla considerazione del proprio ruolo, alternativamente, di vendicatori e di vittime. E quanto deve essere triste e miserabile la vita di costoro. Incapaci non dico di perdonare ma almeno di dimenticare.

Il serbare rancore si accoppia quasi sempre con l’essere permaloso. Legandosi ad ogni minimo sgarbo, volontario o involontario che sia. E poiché la vita è fatta di rapporti, e quindi anche di equivoci magari legati alla differenza di carattere o di livello culturale, se sì è rancorosi si rischia di trascorrere gran parte della propria esistenza avvolti in un pulviscolo maleolente di rivendicazioni e vendette insoddisfatte. Per uscire da questa situazione occorrerebbe una dimensione umana e culturale che purtroppo è rara da incontrare. E che certamente non appartiene alla persona che mi ha ispirato queste riflessioni. Mi sembra illuminante in proposito il raccontino riportato sul blog “Dentro la tana del coniglio” di Vincenzo Marranca: “Due monaci in viaggio verso il tempio passarono da un villaggio dove c’era una giovane nobildonna in attesa di scendere dalla sua portantina.
Le pesanti piogge avevano lasciato grandi pozzanghere e lei non poteva raggiungere a piedi la sua abitazione senza rovinare la sua preziosa veste di seta.
Quando i monaci la videro, la signora stava in piedi sul suo trono portatile e rimproverava i suoi servitori che, dovendo tenere la portantina e altri pacchi, non potevano aiutarla ad attraversare la pozzanghera.
Uno dei due monaci, quello più giovane, continuò per la sua strada.
L’altro, quello più anziano, prontamente la prese, la caricò sulla sua schiena e la trasportò fino alla fine della pozzanghera dove lei scese ed entrò in casa senza ringraziarlo.
Qualche ora dopo aver ripreso il cammino il monaco più giovane, che era stato silenzioso per tutto quel tempo, finalmente parlò:
“Quella donna era molto egoista e scortese, ma tu l’hai presa lo stesso sulla tua schiena e portata sull’asciutto! E lei non ti ha neanche ringraziato!”
“Ho messo giù quella donna diverse ore fa”, rispose il monaco più anziano, “perché la stai ancora portando con te?”. “
La verità è che la medicina dell’oblio cui fa riferimento il monaco anziano è davvero molto difficile da reperire.

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