“Per sapere dove stiamo andando a finire basta guardare le freccette… O il tennis: il pubblico degli Slam sembra essere intrappolato in una sorta di spirale inflazionistica di stronzi”

Prendiamo le freccette. Sì, quello sport ultrapopolare soprattutto in Gran Bretagna che in Italia non ci filiamo nemmeno di striscio. Ecco: “se nel tempio del consumismo di massa, il cliente ha sempre ragione, le freccette sono una sorta di canarino nella miniera: un racconto salutare e forse ammonitore di ciò che può accadere quando uno sport asseconda il suo pubblico al punto da permettergli di comportarsi essenzialmente come gli pare e piace”. Jonathan Liew la prende da lontano ma il punto non sono le freccette, ovviamente. Il punto è il pubblico dello sport in generale. Una bestia alimentata per fini commerciali di cui lo sport stesso è ormai vittima. Di più: per l’editorialista del Guardian il discorso si può facilmente allargare alla società tutta.
La lezione è, scrive Liew, “che non bisogna mai scherzare con il pubblico delle freccette: una lezione che tutti i giocatori di freccette imparano inevitabilmente, in un modo o nell’altro. Non si può imbrigliare il pubblico. Non si può battere il pubblico. Al massimo, si può riuscire a gestirlo. Il pubblico è selvaggio e indomabile, dà e riceve affetto con una promiscuità deliziosamente sfrenata e, soprattutto, paga il tuo stipendio”.
“Nessuno sport si è affidato con più entusiasmo delle freccette al concetto di spettatore come spettacolo: i costumi, i cartelli, il premio in denaro di 60.000 sterline per un tiratore di nove freccette. Nessuno sport si è riconfigurato così drasticamente attorno ai capricci e ai valori del suo pubblico pagante. Durante l’ultimo campionato del mondo, una partita del terzo turno tra Nathan Aspinall e Andrew Gilding è stata addirittura interrotta per permettere ai giocatori di guardare un tifoso che tracannava un’intera brocca da quattro pinte sul grande schermo”.
“Oggigiorno, le freccette non sono più uno sport classico della classe operaia, ma più che altro un cosplay borghese di uno sport della classe operaia: una festa di massa di ragazzi, borse e alcolici. Questo è il music hall moderno, un prodotto populista brillantemente curato che rappresenta anche una delle grandi esportazioni culturali contemporanee di questo paese”. Tipo “James Bond; Adele; Paddington Bear; Stephen Bunting che salgono sul palco sulle note di “Titanium” mentre 10.000 persone cantano in una sorta di estasi religiosa”.
“Eppure, come in ogni forma di populismo, ci sono momenti di eccessi e di eccessiva indulgenza”. E “il nazionalismo imperante è chiaramente un fattore determinante”.
Ma “questa è la conseguenza logica di uno sport che si è sempre più spacciato per un luogo in cui le norme sociali possono essere felicemente trasgredite. Le freccette sono state reinterpretate non come una routine o un rituale, ma come un’esperienza culturale. Non come parte della vita quotidiana, ma come una fuga selvaggia ed edonistica da essa”.
“Le freccette sono semplicemente più avanti in un percorso che la maggior parte degli altri sport sta intraprendendo, a vari livelli. Scattatevi selfie. Usate l’hashtag. Fate un po’ di rumore. Arriva la kiss cam! Tutti a puntare le torce dei cellulari. Fate ancora più rumore! Ma se il tifoso non è più semplicemente uno spettatore passivo, allora non sarà mai veramente possibile controllare l’intera gamma di modi in cui potrebbe essere attivo”.
“Prendiamo il tennis, dove il pubblico dei quattro tornei del Grande Slam sembra essere intrappolato in una sorta di spirale inflazionistica di stronzi: perseguita senza pietà i suoi avversari designati, autoproclamandosi arbitro morale su tutto, dalle battute di gioco all’umorismo, fino a quanto tempo una giocatrice può trascorrere in bagno prima di essere fischiata. Nel frattempo, i giocatori sono commercialmente incentivati a essere visibili e distintivi, a costruire un marchio, a coltivare quelle dolci relazioni parasociali che probabilmente non si concluderanno con uno stalker vero e proprio che si presenta alle tue partite”.
“Cosa succede quando le norme crollano? Quando l’individualismo erode gradualmente i legami che ci uniscono? Cosa succede quando migliaia di persone oltrepassano collettivamente il limite? Nulla, ovviamente. Il limite si sposta e basta. La folla, rinfrancata e motivata, valuta il suo prossimo pasto”.