Jean Reno: «Benigni? È un uomo raro non gli ho mai sentito dire una parola meno che gentile»

A Oggi: «Sul set di La Tigre e la Neve osservai costantemente i piedi di Roberto, volevo scoprire se toccavano terra o se svolazzava come un angelo»

Jean Reno

Roma 24/10/2017 - photocall film Tv 'La ragazza nella nebbia' / foto Insidefoto/Image nella foto: Jean Reno

Oggi ha pubblicato una lunga intervista a Jean Reno, 77 anni passati in buona parte sul set nella parte del cattivo, oggi si è scoperto scrittore con il suo primo romanzo “Emma”. Ma nella vita ha fatto anche tanto altro: «ho fatto il contabile e l’autista oltre che il magazziniere. Ma la vita è un sogno imprevedibile. Il mio bilancio è molto positivo: sto bene, non sono mai caduto nella bottiglia o nella droga. Certo, ho avuto momenti duri, come la perdita di mia madre, ma se raccontassi che la mia vita è stata un incubo sarei ingiusto, sono stato in realtà molto fortunato e ringrazio ogni giorno per lamia buona sorte»

Lei è amico di Roberto Benigni: come vi siete incontrati?

«Mi offrì una parte ne La Tigre e la Neve. Rimase stupito quando accettai a scatola chiusa, senza leggere la sceneggiatura, tanto che insistette per farmela avere in seguito. Ma avevo un tale desiderio di lavorare con lui, che colsi immediatamente la sua offerta. Sul set osservai costantemente i piedi di Roberto, volevo scoprire se toccavano terra o se svolazzava come un angelo. In un mese di lavoro non gli ho mai sentito dire una parola meno che gentile, su nessuno. È un uomo raro».

Lei è nato e cresciuto in Marocco da genitori spagnoli che ripararono a Casablanca dopo la presa di potere da parte di Francisco Franco. È innamorato del Giappone e per tutti è un attore francese, abita tra Los Angeles e Parigi, potrebbe essere definito un apolide. Vive con disagio questo periodo storico nel quale i nazionalismi sono sempre più popolari?

«Mio padre era repubblicano, ma non fu coinvolto direttamente nella guerra civile, suo fratello invece finì davanti al plotone di esecuzione in Marocco e si salvò solo perché parlava arabo. Pochi ricordano che Franco, il dittatore spagnolo, iniziò la sua sollevazione proprio dal Marocco dove era assegnato all’esercito coloniale. Per quanto riguarda il resto, mi sento al 70 per cento francese. Non amo i nazionalismi, anche perché guardo sempre il lato umano di ogni persona e quello che amo del cinema è che ormai i set sono ambienti internazionali, conosci gente che viene da tutto il mondo, mi sembrerebbe strano e poco interessante se non fosse così»

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