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Ansia da scudetto: ormai i napoletani vogliono solo partecipare alla festa, rifiutando il potere di farla fallire

I gatti nel sacco di Trapattoni sono morti asfissiati. È una sindrome sociale figlia del terzo scudetto. I resistenti bollati come disfattisti

Ansia da scudetto: ormai i napoletani vogliono solo partecipare alla festa, rifiutando il potere di farla fallire

“E’ fatta”, ha detto. Ha capovolto il pane in tavola mentre rovesciava inavvertitamente l’olio. Ha spento la tv: il Napoli ha vinto a Lecce. E’ fatta, ha pensato. Vado a pittare lo scooter d’azzurro per i caroselli in Tangenziale. Ha recuperato il cappello che aveva appoggiato sul letto, rivolto coi piedi alla porta (feng shui, non ci avrai). È passato sotto la scala, ma il gatto nero l’ha fatto inciampare e l’ombrello che aveva in mano gli si è aperto rompendo lo specchio del tinello. “Afammok“, ha detto. Con la kappa, per atteggiarsi a ceto medio riflessivo. Poi, finalmente, è uscito a far festa.

La città è divisa: se la Napoli “male” – una volta solo scaramantica, oggi bollata come “disfattista” – combatte una battaglia di resistenza (alcuni si sono ritirati ai Camaldoli, riforniti dalle staffette del Vomero e dalle suore Brigidine dell’Eremo) per garantirsi una igienica attesa dell’evento, il resto è preso come da una smania. Una patologica ansia da prestazione (altrui): vincere e abbiamo già vinto. La coniugazione al futuro non ammette condizionali. Tutto purché festa sia. Del doman v’è certezza eccome: abbiamo vinto a Lecce, no? “È fatta”. I gatti nel sacco di Trapattoni sono morti asfissiati. Non bastano i promemoria: da quell’orecchio mezza Napoli non ci sente.

Non è solo questione di aglie, fravaglie e fattura ca nun quaglie. È una patologia sociale, un ribaltamento Sorrentiniano: i napoletani vogliono solo partecipare alla festa, rifiutando il potere di farla fallire. La vittoria sportiva è solo un pretesto. Ed è una deformazione che deriva dallo scudetto numero 3, seguito dal successivo anno di traumi irrisolti.

La cavalcata trionfale della squadra di Spalletti lanciò la città verso una fuga: tre mesi di preparazione ai baccanali, quotidiane riunioni in prefettura, l’abbigliamento monumentale che avrebbe fasciato strade e palazzi di plastica immarcescibile. E quello scudetto che mai arrivava, estenuante. Il napoletani ci arrivarono stanchi di settimane di preliminari. Ma quella stagione ha dettato un metro, una misura. I due scudetti passati sono preistoria: questa nuova generazione sa vincere solo così, per ora. Subito, se possibile un po’ prima. Il proverbiale chiagni e fotti non ammette più lacrime.

Va bene così. Anzi, per riparametrarci: andrà tutto bene. Perché magari funziona come nel tennis, il pensiero positivo condiziona la prestazione, ogni punto è un pugnetto alzato e nessuno ipotizza la sconfitta se non a mazziata incassata. Il cervello procede per paradossi: se ti concentri sul NON fare doppio fallo, farai doppio fallo. La profezia auto-avverante non è più una speranza, è un imperativo categorico. Nel frattempo: sarà pur fatta… ma cape ‘e alice e cape d’aglio a quanto stanno al chilo? Hai visto mai.

 

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