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Traumi alla testa e malattie degenerative, calcio e rugby hanno paura

L’inchiesta sul Times: «Alcune famiglie hanno scritto una lettera alle istituzioni: gli esami post-mortem potrebbero aiutare nella prevenzione delle malattie neurodegenerative»

Traumi alla testa e malattie degenerative, calcio e rugby hanno paura
Scotland's wing Duhan Van Der Merwe (Top-C) is tackled by Italy's wing Louis Lynagh during the Six Nations rugby union international match between Italy and Scotland at the Olympic Stadium in Rome, on March 9, 2024. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

La crescente consapevolezza delle malattie neurodegenerative causate da sport di contatto, come calcio e rugby, ha portato numerose famiglie in lutto a chiedere modifiche ai protocolli post-mortem. Queste famiglie, accomunate dal dolore per aver perso persone care che praticavano sport di collisione, stanno sollecitando le autorità britanniche affinché rendano obbligatori i controlli post-mortem per malattie come la CTE (encefalopatia traumatica cronica). Questo appello non è solo un grido di dolore, ma una richiesta motivata a creare una base di dati e consapevolezza che possa prevenire tragedie future.

Lo sport di contatto come “trauma”

Come riporta il Times a firma di David Walsh, il caso emblematico di Dan Vickerman, ex giocatore della nazionale australiana di rugby, sottolinea l’urgenza di questa causa. Vickerman, morto suicida a soli 37 anni, non sembrava lottare con le difficoltà di adattamento post-carriera, come testimoniato da sua madre, Val Vickerman. Quest’ultima, riflettendo sui cambiamenti comportamentali del figlio, notò come manifestasse sintomi riconducibili alla CTE:

«C’era depressione, ansia, incapacità di controllare le emozioni, temperamento. Una piccola cosa poteva diventare enorme.» A causa della scarsa informazione disponibile allora, il cervello di Dan non fu esaminato per questa malattia, e oggi resta il dubbio su una diagnosi mai fatta.

La CTE è una condizione neurodegenerativa causata da traumi ripetuti alla testa, una problematica che affligge un numero crescente di ex-sportivi. Judith Gates, vedova del calciatore professionista Bill Gates, afferma che il marito visse un grave deterioramento cognitivo negli ultimi anni di vita:

«Abbiamo dovuto dire addio al corpo di Bill sapendo che, a causa della nostra decisione, non lo avremmo rivisto. L’unico bene che può nascere da questa situazione terribile è raccogliere prove per proteggere i futuri giocatori.»

Rugby e calcio sotto esame

Scrive ancora Walsh a proposito di Gates:

«Judith Gates ha perso il marito Bill per la CTE. Bill era un calciatore professionista e per 13 anni fu un eccezionale difensore al Middlesbrough. Negli ultimi 15 anni della sua vita, Bill soffrì di una malattia neurodegenerativa. Alla fine, Judith accettò che il cervello di Bill fosse donato al neuropatologo Willie Stewart a Glasgow. L’esame confermò ciò che Judith già sospettava: il cervello di Bill era stato distrutto dalla CTE.»

Le famiglie si rivolgono con forza ai rappresentanti delle istituzioni per far sì che gli esami post-mortem per i giocatori che hanno praticato sport di contatto diventino obbligatori. La loro richiesta, presentata sotto forma di lettera alle autorità, evidenzia due principali obiettivi: «1) costringere gli sport ad adottare migliori protocolli per la salute cerebrale; 2) aumentare la consapevolezza sui rischi di lesioni cerebrali per gli sportivi.»

Il caso recente di Nick Koster, altro giovane rugbista che si è tolto la vita, ha rafforzato ulteriormente la determinazione delle famiglie. Come Vickerman, anche Koster aveva manifestato segni di un declino mentale non del tutto compreso all’epoca. Solo in seguito alla sua morte la famiglia è giunta alla consapevolezza dell’importanza di un esame post-mortem, pentendosi di non averlo richiesto. Come osserva la Concussion Legacy Foundation, la CTE, insieme ad altre patologie neurodegenerative, potrebbe aiutare a spiegare il deterioramento della salute mentale di molti sportivi.

Le implicazioni di questo tipo di indagini post-mortem potrebbero avere un impatto straordinario sulla prevenzione futura. Rendere obbligatorio l’esame per i deceduti con una storia di sport di contatto fornirebbe dati cruciali per comprendere meglio i rischi a lungo termine di queste attività. Inoltre, darebbe alle famiglie la possibilità di trovare una qualche spiegazione per i cambiamenti devastanti nei comportamenti e nello stato mentale dei propri cari.

Con l’aumento delle testimonianze di casi simili, emerge un messaggio chiaro: per quanto sia amato e ammirato, lo sport (rugby e calcio) deve responsabilmente affrontare anche i rischi che comporta. E per le famiglie, questa richiesta non è solo un atto di giustizia per i propri cari, ma un’opportunità per costruire un futuro più sicuro per chiunque ami e pratichi gli sport di contatto.

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