La conversazione su Liberation del 1987 è un’icona del giornalismo. So Foot: “La regista ha origini napoletane eppure celebra un mito Juve”
Marguerite Duras è stata una scrittrice, giornalista, pensatrice, filosofa, romanziera e persino regista. E’ morta nel 1996 a Parigi, a 81 anni. Nel 1987 intervistò Michel Platini per Libération. Un’intervista di un’ora e venti minuti rimasta nella storia del giornalismo (non solo sportivo). Platini disse che “un’ora con Marguerite Duras è stata per me più dura di qualsiasi incontro della mia carriera. Ho vissuto questa intervista come qualcosa di completamente irrealistico, anzi surreale. Ho sempre amato il contatto con persone che non si occupavano di calcio. Aveva un modo completamente diverso di vedere lo sport. Le sue domande erano spesso toccanti. Non sono mai stato intervistato da qualcuno così ignorante in materia di calcio”.
L’intervista è così famosa che trentasei anni dopo è diventata un’opera teatrale, messa in scena al Théâtre de la Reine Blanche di Parigi. Un’interpretazione fedele al testo originale, fino alla virgola, intervallata dai monologhi dei due personaggi, tratti dalle prime pagine del libro di Platini, da un lato, e dal libro Écrire (1993) e da un’apparizione televisiva di Marguerite Duras, dall’altra. So Foot racconta che per poter mettere in scena l’intervista, oggi difficile da reperire, Barbara Chanut l’ha ricostruita, taglio dopo taglio, grazie a un certo Raymond Keruzoré, leggenda del calcio bretone degli anni ’70 che trascorse la pensione collezionando articoli di stampa dedicati ai calciatori”.
So Foot scrive che “nonostante le sue origini napoletane che non dovrebbero autorizzarla a onorare un eroe della Juve, la regista ha colto subito il potenziale teatrale – addirittura comico – dell’incontro: “Questo testo non sarebbe mai dovuto esistere. È una specie di scarto. La cosa bella di questa intervista è tutta l’imbarazzo. Tutti i silenzi, tutto il disagio”.
Chanut dice: “Come spiegare il culto che si è creato attorno a questa intervista? Anche quando Marguerite Duras parla di calcio, rimane Marguerite Duras, con il suo universo e il suo lirismo, alla ricerca di Michel Platini – per il quale conserva una forma di ammirazione – su un terreno nuovo, sconosciuto e indistruttibile. Duras non capisce veramente lo sport, ma ne parla con una passione inspiegabile e un’affascinante disconnessione; Platini non capisce veramente Duras, ma gli offre un’introspezione rara e accattivante, quando non si lascia sconcertare dalle divagazioni dell’autore”.
Nell’intervista Platini dice cose così:
Dare non è necessariamente visibile. Ciò che diamo è uno stato d’animo, è molto profondo. È un bisogno di ciascuno e di tutti, quello che hai da loro e quello che hai da te stesso. Senza di te, sono soli insieme. Quando sanno che sei con loro, non sono più soli insieme e ottengono l’accesso a una sorta di agio, felicità, infanzia. È una persona che fa la comunità, sei tu, la tua parte è dargli ciò di cui ha bisogno
Platini dirà nell’intervista, della tragedia dell’Heysel: “Quel giorno sono diventato un uomo! Diciamo che sono passato da un mondo in cui il calcio era un gioco a un mondo in cui il calcio diventava una forma di violenza. Vale a dire che, fino a un momento, abbiamo i giocattoli dei bambini. Ebbene, quel giorno non avevo più giocattoli per bambini”.
Il tenore delle “domande” di Duras era questo: “Nel calcio vedo un angelismo. Trovo le persone, gli uomini, nel senso dell’umanità, in una purezza che nulla può fermare e che mi commuove enormemente. E penso che questa sia la parte principale della mia emozione quando vedo il calcio. Perché vedo il calcio, ti ho visto in Messico. Era il Messico, giusto? Sì, ti ho visto, ti ho visto soffrire, anch’io volevo uccidere Maradona. Sei d’accordo con la parola “angelismo”? L’angelismo non ha confini, né patria. Devo dirtelo: senza di te non avrei trovato questa parola“.
L’opera arriva addirittura a riprodurre lo strano epilogo dell’intervista, nel momento in cui un fotografo entra nella stanza. “No, non dovresti fotografare Platini con nessuno”, esclama Duras. “Vorrei che lo portassi con te quando guarda l’imbrunire, da solo”.