I sopravvissuti del Melarancio: quella tragedia napoletana nel docufilm di Luca Miniero
In gita undici bambini morirono in un incidente stradale. Repubblica Firenze dedica un bellissimo articolo al film che sarà presentato al Festival dei popoli
La tragedia del Melarancio. Il regista napoletano Luca Miniero, quarant’anni dopo, ha girato un docu-film che sarà presentato il 5 novembre al Festival dei popoli a Firenze.
Nella galleria del Melarancio per un incidente stradale morirono undici bambini napoletani della scuola media “Nicolardi” in gita con la scuola
Repubblica Firenze scrive un articolo molto bello che riportiamo integralmente anche se sappiamo che è una violazione del copyright. L’articolo è di Maria Cristina Carratù.
Nel pomeriggio del 26 aprile del 1983, quarant’anni fa, la galleria del Melarancio dell’A1, nel Comune di Scandicci, in quel momento a doppio senso di marcia per un cantiere, si trasforma in un incubo. Un pullman con a bordo 48 bambini di 13 anni in gita scolastica, provenienti da Napoli e diretti sul lago di Garda, viene tranciato sul fianco sinistro da un trasporto eccezionale. Un tubo di cemento di 4 metri di diametro, che sporge oltre la sagoma di un autoarticolato in transito sull’altra corsia, falcia in un colpo gli 11 piccoli seduti dalla parte dei finestrini, la parte sbagliata del pullman. La scorta del trasporto eccezionale non aveva atteso, come da protocollo, il via libera per il mezzo.
Un colpo al cuore per Napoli, dove i bambini frequentavano la scuola media “Nicolardi” del quartiere Vomero Arenella, e per tutta l’Italia, che ricorderà questo incidente stradale come uno dei più gravi della sua storia. I funerali si tennero al vecchio stadio del Vomero, il Collana. Il sindaco Maurizio Valenzi proclamò due giorni di lutto, i ragazzi furono sepolti insieme in una cappella donata dal Comune di Napoli nel cimitero di Poggioreale, sotto la scritta “Gli undici fiori del Melarancio”.
Una vicenda drammatica, inspiegabilmente caduta nel dimenticatoio, su cui getta ora nuova luce il docufilm Dalla parte sbagliata presentato il 5 novembre allo Compagnia per il 64° Festival dei Popoli (4-12 novembre, prodotto da Viola Film e firmato da Luca Miniero – regista di Benvenuti al sud anche lui napoletano, e anche lui, all’epoca, residente al Vomero.
Presente al funerale al Collana con 30 mila persone in lacrime, e «fin da allora », racconta, «sebbene più giovane delle vittime, profondamente coinvolto» in una vicenda, di cui, dopo l’accorata e corale celebrazione del dolore, «l’Italia sembra avuto voluto cancellare la memoria». Da qui l’esigenza «di liberarsi, attraverso la narrazione cinematografica, di una sorta di peso interiore», generazionale e personale. Dopo mesi di ricerche degli ex alunni sopravvissuti, oggi cinquantenni (alcuni dei quali hanno declinato l’invito), Maniero ha messo insieme « il gruppo di chi ha accettato di far riemergere un’esperienza mai davvero passata, e di raccontare i diversi rituali con cui è riuscito, o ha almeno provato, a ricostruirsi una vita».
A dare il “la” alla narrazione, un pranzo a distanza di 40 anni, che dopo l’iniziale allegria da rimpatriata, imbocca, per spontaneo evolversi del confronto e senza forzature registiche, la china di una dolorosa rivisitazione.
Il “fatto” aleggia nelle allusioni, nei primi “ mi ricordo…”, fino a farsi di nuovo esperienza palpabile, e tornare, qui ed ora, con flash a vividi colori (fino al clou dell’incontro con la “ madre coraggio” di Alfredo, uno dei piccoli morti), al centro dell’attenzione. E però guardato in modo inedito, con gli occhi di chi c’era e può ancora raccontarlo, a differenza dei compagni del bus falciati via per caso – ma che è a sua volta ferito, vittima, oltre che del ricordo che mai passerà, anche di un assurdo senso di colpa: quello, appunto, del sopravvissuto, preservato chissà perché dalla sorte, e dunque, nel contesto di un gigantesco lutto collettivo, a sua volta “dalla parte sbagliata”.
Sottolineata, se non addirittura indotta, osserva Miniero, anche dal modo con cui, all’epoca, «nell’Italia post Vermicino che aveva scoperto il voyeurismo della diretta tv, e in cui la tutela della sensibilità dei minori non era un valore nemmeno per il sistema inquirente e giudiziario» , si fu capaci di «violare l’intimità dei piccoli sopravvissuti, traumatizzandoli con interviste assurde e drammatici interrogatori, trascurandoli nelle cerimonie ufficiali, e privandoli di adeguati supporti psicologici».
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