Günther Steiner: «L’addio con Mick? Schumacher è un grande nome in F1 ma non reclutiamo un cognome»

Il team principal Hass a l'Equipe: «Mazepin? Mi dissero "la guerra durerà due settimane". Ci siamo separati subito, non si sorvola su certi principi solo per soldi»

Mick Schumacher Helmut Marko Steiner

Nurburgring (Germania) 11/10/2020 - gara F1 / foto Imago/Image Sport nella foto: Mick Schumacher

L‘Equipe intervista Günther Steiner, team principal della scuderia americana di F1 Haas. Steiner è diventato famoso non tanto per i successi sportivo quando per la sua personalità molto divertente, venuta fuori durante le stagioni di Drive to Survive, la serie Netflix sulla F1.

La Haas non sarà una team di punta nel paddock ma se è riuscita a rimanere in Formula 1 il merito è anche di Steinar.

«In ogni mondo in cui la concorrenza è feroce (come la F1, ndr), devi… non tanto essere davvero un gangster, ma devi essere intelligente per massimizzare le tue possibilità di successo. Non è specifico della F1, ma di tutte le attività in cui sei costantemente al limite… E poi, devi anche essere ben informato, quindi tieni le orecchie al posto giusto per anticipare cosa pensa la gente intorno a te».

Günther ha scritto ultimante un libro biografico, dove racconta le diverse sfaccettature della sua persona:

«Netflix ha cambiato la F1 e il modo in cui le persone vedono lo sport. Il 99% dei miei lettori ha visto Drive to Survive. Altrimenti, leggerebbero questa roba pensando che sia solo finzione. Ne ho approfittato, certo, mi sono fatto avanti senza che cercassi nulla. Haas è stato tra le squadre che hanno detto subito si alla serie, non avendo idea di come sarebbe stata. Non come la Mercedes o la Ferrari, che, visto il suo successo, non la volevano».

Su Mick Schumacher che con la Haas ha corso due stagioni:

«Sono sempre stato onesto con Mick. Ho vissuto momenti di frustrazione nei suoi confronti, e poi abbiamo dovuto farci le domande giuste sul nostro futuro comune, su cosa sarebbe stato un bene per la squadra e sulla sua traiettoria professionale. Schumacher è un grande nome in F1, ma non ho paura di niente. Ho dovuto prendere la decisione giusta. Sono stato messo sotto pressione quando ho deciso. Non è stato facile. Dal momento in cui abbiamo avuto un dubbio, non ho potuto tenerlo. Per mantenere un pilota, devi essere convinto al 100%. La squadra aveva bisogno di esperienza. Ma la sua unica esperienza è stata con noi. Abbiamo bisogno di esperienza per migliorarci».

Dici di non essere spaventato dal nome Schumacher, ma non hai reclutato Mick proprio perché aveva quel nome?
«(Lungo silenzio.)… Bella domanda… Fu una decisione presa all’epoca insieme alla Ferrari. Faceva parte del loro programma junior ed era appena stato incoronato campione di F2. (Lungo silenzio)… Non dirò che lo abbiamo ingaggiato a suo nome, ma piuttosto sul suo titolo in F2. Io sono sincero con te. Il nome di Schumacher non basta. Non reclutiamo su un cognome. Abbiamo ingaggiato Mick, non Michael. All’improvviso è diventata colpa mia se non ha avuto successo in F1. Cosa potevo fare quando si è schiantato male a Monaco e altrove?»”.

Insieme a Schumacher junior, guidava anche Nikita Mazepin, giovane pilota russo. L’invasione della Russia in Ucraina però ha cambiato i rapporti tra il pilota e il team americano:

«Ho lavorato per più di un anno con interlocutori russi, ed è strano sentire sui media certi nomi che hai incontrato. Ero intorno a un tavolo con loro. Non avrei mai pensato che la mia vita da manager di F1 sarebbe stata influenzata da una guerra. Una guerra! Non immaginavo nemmeno di vivere un periodo di guerra nella mia vita. Abbiamo dovuto separarci. All’epoca mi dissero che non sapevo cosa stavo facendo e mi dissero: la guerra durerà due settimane, si calmerà. Con Gene Haas (il proprietario della scuderia) abbiamo deciso subito. Non si potrebbero, solo per una questione di soldi, sorvolare su certi principi».

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