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Moser: «Saronni si sentiva superiore perché io venivo dalla campagna e lui dalla città»

Al CorSera: «Litigavamo pure sugli aerei quando andavamo a correre all’estero. Lui era più giovane, ma ad un tratto ha smesso di essere forte».

Moser: «Saronni si sentiva superiore perché io venivo dalla campagna e lui dalla città»
Db Milano 24/02/2009 - funerali Candido CannavÚ / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Francesco Moser

Il Corriere della Sera intervista Francesco Moser. A 35 anni dal ritiro, Moser detiene ancora il record italiano di vittorie su strada: 273. Nella storia del ciclismo, solo Eddy Merckx e Rik Van Looy hanno vinto più di lui. Gli viene chiesto come sia possibile che il suo record di vittorie sia ancora imbattuto. Moser risponde:

«Perché il ciclismo è in declino. Mancano gli sponsor: noi facevamo più corse e avevamo più squadre. E tutti correvano per il capitano, ora, invece le squadre hanno il velocista, l’uomo della corsa a tappe, l’uomo cronometro…».

C’è un italiano sul quale possiamo sperare? Moser la vede nera.

«In Italia, ora che ha smesso Vincenzo Nibali, non vedo grandi speranze».

Moser racconta di come si innamorò del ciclismo, grazie ad uno dei fratelli, che lo spinse a provare per curiosità, mentre lui, che aveva lasciato la scuola, lavorava in campagna.

«Pensavo di non poter essere forte, ho tentato per curiosità, poi ho visto che andavo e ho fatto tutto il necessario per arrivare al successo: uno può avere il fisico e l’attitudine, ma arrivare fino in fondo o fare le cose a metà dipende dalla testa. Io volevo sempre migliorare ed essere fra i primi, anche se ho avuto avversari importanti come Felice Gimondi, Eddy Merckx e Roger De Vlaeminck, un belga che ha corso in Italia: tante volte ho vinto contro di lui, ma tante volte sono arrivato secondo dopo di lui. E la competizione è diventata più forte dopo che il ciclismo è uscito dai confini europei».

Che altro serve per vincere, oltre a talento, condizione fisica e testa? Moser:

«Fortuna: alle Olimpiadi di Monaco del 1972 ero nella fuga giusta, poi, all’ultimo chilometro, ho bucato e sono arrivato settimo. Potevo essere bronzo o argento. Qualche anno dopo, facciamo il prologo del Giro di Germania e, nello stesso punto, avevo già vinto, ma ho bucato e sono arrivato secondo».

A quell’epoca, racconta, il tifo era esasperato «più che oggi nel calcio». E c’era anche più rivalità.

«La gente si appassionava, si creavano rivalità. Ora, la rivalità non è più di moda. Oggi, il corridore chiede scusa a quello che ha battuto. C’è il fair play, noi eravamo più ruspanti».

A Moser viene chiesto se la rivalità con Giuseppe Saronni era vera e c’era anche nella vita. Risponde:

«Era vera. Era difficile andare d’accordo con lui. Era sempre scontro aperto. Correvamo e, chiaramente, uno cercava di arrivare davanti all’altro o cercava di farlo perdere. Io venivo dalla campagna, lui dalla città: si sentiva superiore. Litigavamo pure sugli aerei quando andavamo a correre all’estero».

Siete mai arrivati alle mani?

«Era più una sfida continua. Per esempio, a un campionato in provincia di Parma nell’81, quelli davanti a me si sono fermati, io ho frenato, Saronni mi ha preso la ruota, si è arrabbiato, mi fa: non sei capace di andare in bici. E io: vediamo stasera chi è capace. La sera, avevo vinto io. Lui era più giovane di sei anni, dal ’79 ha avuto tre o quattro anni forti, forse troppo per il suo fisico. Infatti, d’un tratto, ha smesso di essere forte. Mentre io, nell’84, a Città del Messico, feci il record dell’ora, e nello stesso anno vinsi la Milano-Sanremo e il Giro d’Italia».

Moser racconta di quando era ragazzo e lavorava in campagna.

«Papà aveva le vigne, si lavorava tutti nei campi. Poi, ha avuto un ictus ed è morto all’improvviso. Io avevo tredici anni, tre fratelli correvano, uno era frate, l’altro era piccolo ed è toccato a me portare avanti i campi. Ho lasciato la scuola e mi sono messo a lavorare la terra. Era l’unica cosa che sapevo fare, ed era la normalità. I muscoli me li sono fatti in campagna: portavamo i pesi, si faceva tutto a mano, non è che andavi in palestra o in discoteca».

Oggi produce vino. Quando ha smesso di correre ha comprato una campagna e il maso dove vive, sulle colline di Trento. Racconta di averci fatto vicino il museo con le sue bici, le maglie, i trofei. Parla di come si svolgono le sue giornate:

«Cerco di tenere in ordine la campagna, gli operai fanno i lavori più pesanti, mentre io mi occupo dell’orto, delle galline, dei cani, e poi ricevo i clienti che vogliono le foto, i selfie».

Moser ha tre figli, di cui uno, Ignazio, fidanzato con Cecilia Rodriguez.

«Ci frequentiamo, è stata anche qua. Abbiamo fatto Natale insieme. Poi, i giovani sono andati in montagna per conto loro, io sono rimasto a casa, non è che m’intrometto».

Che effetto le fa la famiglia in cronaca rosa?

«Non lo trovo strano: pure io da giovane ci stavo sulle copertine».

Ma non per i pettegolezzi.

«Quelle sono cose a cui non sto dietro: non guardo Internet, non ho i social, il telefono lo uso solo per telefonare».

Su Instagram, si è vista la proposta di matrimonio con l’anello di fidanzamento. Moser:

«Hanno detto che si sposano quest’anno, ma ci credo quando lo vedo. Avevano detto agosto, ma da agosto a ottobre c’è la vendemmia».

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