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«Jannacci era contento quando scopriva i mali della gente. Odiava l’eccesso di burocrazia nella medicina»

Il figlio Paolo a La Stampa: «Aveva picchi di tristezza o apprensione, oppure era galvanico. Paradiso o inferno. Da lui ho imparato l’ipersensibilità».

«Jannacci era contento quando scopriva i mali della gente. Odiava l’eccesso di burocrazia nella medicina»

A 10 anni dalla scomparsa di Enzo Jannacci, il figlio Paolo lo ricorda in un’intervista rilasciata a La Stampa. In particolare, gli viene chiesto un ricordo dello Jannacci medico.

«Che abbia fatto solo il medico, non mi ricordo. Penso a quando visitava, ai pazienti che lo aspettavano, a com’era contento quando scopriva i mali della gente. Non si sbilanciava, non raccontava mai a casa, ma io ero fiero di lui. Due lauree ha preso, medicina e chirurgia. Ha fatto un master di 6 mesi, e ho trovato poi il diploma a casa, all’ospedale di Harlem a New York. Lì ha capito che erano bravi a trattare subito quelli che erano sotto choc, mentre da noi s’impegnavano prima a scrivere la scheda anagrafica. Avrei voluto fare medicina anch’io ma mi sconsigliò, diceva che c’era troppa burocrazia e tutto era complicato».

Una personalità esuberante, eclettica, quella di Jannacci. Com’era nella vita privata?

«C’erano dei picchi che rispettavano il suo carattere. Bassi di tristezza o apprensione, oppure era galvanico. Paradiso o inferno, gli artisti sono così. Non ho mai faticato a seguirlo, lui alla band dava lo stimolo “per far la differenza”, diceva. Nel mio piccolo di quando provavamo, cercavo a mia volta qualcosa che stupisse anche noi. Poi nel periodo più adulto parlavamo molto dei nostri guai, e l’ironia era la risposta».

Avete suonato tanto insieme? Paolo Jannacci risponde:

«Tantissimo, ho imparato l’ipersensibilità, ero molto protettivo con lui, non volevo potesse soffrire di qualche critica, tutelandolo in tutti i modi ci sono riuscito. Faceva spettacoli di grande forza emotiva, c’era sempre al cento per cento e io gli guardavo le spalle. Da ragazzo, ho avuto con lui un rapporto conflittuale, suonavo ma non volevo cantare; poi siamo diventati grandi amici e abbiamo sopportato e supportato le debolezze l’uno dell’altro».

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