ilNapolista

Becker: «Il carcere mi ha cambiato. Non sono più un cazzone irresponsabile, sono più intelligente e umile»

Al Venerdì: «Ho imparato ad accettare i miei errori: se accusi Dio o i giudici per averti condannato non riuscirai ad andare avanti. Solo i campioni ricominciano da zero».

Becker: «Il carcere mi ha cambiato. Non sono più un cazzone irresponsabile, sono più intelligente e umile»
Mv Milano 21/09/2019 - campionato di calcio serie A / Milan-Inter / foto Massimiliano Vitez/Image Sport nella foto: Boris Becker

Il Venerdì di Repubblica intervista Boris Becker. Nell’aprile 2022 è stato condannato a 30 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta: 15 almeno da scontare in carcere. Becker è così diventato così il detenuto numero A2923EV.
Ha trascorso sette mesi in cella a Londra e poi è stato estradato in Germania, dove sta finendo di scontare la sua pena in regime di libertà vigilata. Dal 7 aprile, su Apple Tv+, sarà in onda “The World vs. Boris Becker”, un documentario in due parti scritto e diretto da Alex Gibney e prodotto da John Battsek che racconta la sua vita, anche con interviste ai suoi familiari e a star del tennis come John McEnroe, Björn Borg, Novak Djokovic, Mats Wilander e Michael Stich.

A Becker viene chiesto cosa abbia imparato dai mesi passati in prigione. Risponde:

«Ad accettare i miei errori. Se rimpiangi il passato, se accusi i giudici o Dio per averti condannato, non riuscirai mai ad andare avanti. Anche nel tennis la cosa più difficile è dimenticare gli errori e le occasioni mancate, non tutti ci riescono. Solo i campioni ricominciano da zero e sono pronti quando si presenta un’altra chance per mettersi alla prova. Mentalmente sono sempre stato molto forte, ho una buona immaginazione, e ottimi ricordi. Ma in galera vivi immerso nella tua testa. E così ho capito che se resto orgoglioso di molte delle cose che ho fatto, ho capito anche di aver commesso degli errori. Ma li ho pagati, e a caro prezzo. Oggi sono forse un po’ più intelligente di prima. Sicuramente più umile».

Questa sua forza mentale l’ha scoperta in prigione o viene da lontano? Becker:

«Viene dall’educazione che ho ricevuto. Mia madre era una donna austera, mio padre un gran lavoratore. Quando la guerra finì avevano entrambi dieci anni, la loro infanzia in una Germania ferita è stata molto dura. La forza dei miei è sempre stata una fonte di ispirazione, mi ha aiutato a superare gli alti e bassi della carriera e anche a rimanere con i piedi per terra quando è arrivato il successo. Da giocatore, a volte, le mie emozioni hanno avuto la meglio, avrei voluto e dovuto controllarle di più, essere meno impulsivo. Il tennis è uno sport molto logico. Non vinci una partita per fortuna o per sorpresa. Se segui le regole, e sei fisicamente in forma, vinci più partite di quelle che perdi».

In prigione ha vissuto episodi di razzismo? Becker:

«Sì, tutti i giorni. Ho incontrato veri e propri nazisti, a cui ho ripetutamente cercato di spiegare perché è assurdo pensare che il “bianco” sia meglio del “nero”. Veniamo tutti dalla madre Africa, nelle nostre vene abbiamo tutti parte dello stesso sangue. Ho rischiato di prendere una montagna di cazzotti. Ma alla fine molti dei boss si divertivano, e mi hanno sempre lasciato parlare».

Nel documentario si parla molto oltre che di carcere anche di salute mentale. Che relazione c’è tra queste due tematiche?

«Nella prigione di Wandsworth, a Londra, ho trovato lavoro insegnando matematica e inglese: anche se oggi potrebbe non sembrare, sono molto bravo con i numeri… Beh, quel lavoro mi ha permesso di uscire dalla mia cella
per cinque ore al giorno, e questo mi ha salvato la vita. Perché invece l’isolamento in cella ti uccide. Per questo sono molto contento che anche nel mondo dello sport si inizi a parlare di salute mentale. La sincerità di Naomi Osaka e il fatto che abbia parlato apertamente della sua depressione è stato un passo avanti importante per la comunità tennistica. Non bisogna mettere troppa pressione ai giocatori».

Pensa che dopo aver visto il documentario, la gente possa avere un’opinione diversa su di lei?

«Sarebbe bello, anche perché dopo sette mesi di prigione ho una prospettiva molto diversa sulla mia vita. Vorrei che la gente capisse che Boris Becker non è più un ragazzino irresponsabile, un cazzone, ma è diventato un uomo maturo di 55 anni, che espone un lato della sua vita che nessuno conosce. Spero che questa possa essere una nuova visione di me, una nuova versione e percezione di Becker come padre e come uomo. Un uomo migliore».

ilnapolista © riproduzione riservata