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Baretta: «il pregiudizio principale è l’egoismo del nord»

Intervista al Napolista: «La distinzione binaria produttività/assistenzialismo non sta più in piedi, i luoghi comuni sono destinati a essere spazzati via»

Baretta: «il pregiudizio principale è l’egoismo del nord»

«Il tempo dei pregiudizi e dei luoghi comuni sul sud come sul nord è segnato». Pierpaolo Baretta, enfant prodige del sindacalismo italiano, veneziano doc, sottosegretario al Mef con quattro diversi governi, dall’ottobre 2021 è assessore al bilancio di Napoli. Ha accettato di rispondere ad alcune domande del Napolista nei giorni in cui grazie al ddl Calderoli il tema dell’autonomia delle regioni è tornato in cima all’agenda politica nazionale, portandosi appresso la prevedibile coda di polemiche.

Era evitabile?

«No, era inevitabile. Perché è l’approccio ad essere sbagliato sotto tutti i punti di vista, di contenuto e di metodo. Sono anni che si parla di questo argomento e non si è mai prodotto nulla. L’unica bozza formale è stata quella fatta nel 2018 con Bressa (sottosegretario alla presidenza del Consiglio ndr) che era molto all’acqua di rose per frenare gli eccessi autonomisti. Ma in tutti questi anni chiunque ha governato e coloro che a parole sono sostenitori dell’autonomia nulla hanno fatto. In primis la Lega. C’è un equivoco a monte  e bisognerebbe chiedersi perché. Secondo me l’errore sta nell’impostazione. Perché l’autonomia così come viene proposta non praticabile. Se il presupposto è la separazione e la parcellizzazione del Paese, oltre a essere incostituzionale, cozza contro un sentimento popolare molto diffuso. Se l’autonomia equivale all’assunto che i ‘soldi me li tengo e decido come voglio’ è evidente che non sta in piedi, se non altro per gli  equilibri complessivi di finanza pubblica. Infine il sotto testo per cui da una parte sono tutti bravi e laboriosi e dall’altra tutti fannulloni, oppure da un lato tutti poveri e dall’altro tutti ricchi produce divisioni che non stanno in piedi. Calderoli tutti questi argomenti li ignora, ma li ignora il dibattito, cioè tutti i suoi attori, mica solo il ministro».

Descritto così è il teatro delle finzioni

«Infatti, si fa finta non ci siano eppure ci sono problemi veri che andrebbero affrontati. Ma intanto il ministro Calderoli annuncia che i tempi della riforma sull’autonomia e quelli del presidenzialismo saranno gli stessi. Ma come si fa a dire una cosa simile? È l’ammissione che non si vuole raggiungere alcun risultato. Perché è chiaro a tutti che il presidenzialismo è una riforma di rango costituzionale e quindi con tempi, dibattiti e passaggi piuttosto laboriosi oltre che ben definiti dalla Carta». 

Quali sono i nodi da sciogliere sull’autonomia?

«Sostenere che una materia come la scuola debba essere differenziata per regioni, francamente è un errore.  Il ragionamento non sta in piedi e invece non si affronta una discussione approfondita e seria sul welfare, che potrebbe essere un terreno per valutare le differenti condizioni sociali territoriali».

Quindi manca un disegno complessivo. Sulle risorse, invece?

«È identico. Non si discute del superamento della spesa storica, né dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni). Questa sarebbe la vera rivoluzione e andrebbe fatta per tutti i comuni perché così metti in gioco la virtuosità e la capacità amministrativa. Con i Lep diventa improrogabile un cambio di mentalità amministrativa e sarebbero necessarie delle modifiche alla struttura del bilancio. Sarebbe una vera riforma degli enti locali. Un buon federalismo è una prospettiva che può trovare l’interesse di tutti, ma l’autonomia differenziata che nasconde un fondo di separazione non è accettabile. Ecco perché secondo me è destinata a fallire».

Le differenze tra nord e sud sono tutte riconducibili alla distinzione binaria produttività/assistenzialismo?

«Non sta più in piedi. C’è una grande novità che quest’anno sta esplodendo ed è il turismo. Napoli ha un’esplosione turistica straordinaria e il turismo è un fattore di grande cambiamento perché ti costringe a migliorare i servizi. Oggi in città c’è un dibattito forte sui rifiuti e sulla pulizia, non solo perché il Comune deve fare di più per i cittadini, ma perché se prevedi di avere centinaia di migliaia di persone in visita o sai che tieni la città tirata a lucido o perderai delle grandi opportunità. La presenza di un fenomeno così forte e diffuso e destinato a durare costringe tutti a guardare la realtà con occhi nuovi e a trovare strumenti adeguati. Per questo penso che i luoghi comuni siano destinati a essere spazzati via in tempi molto brevi».

I pregiudizi su Napoli li conosciamo a memoria e li ricordiamo ogni volta la nostra squadra è impegnata in una partita in trasferta. Che siano Cagliari, Verona o Firenze, ovunque le curve dell’Italia ‘civile’ evocano le capacità purificatrici del Vesuvio. Ma ci sono dei pregiudizi che caratterizzano i Napoletani?

«La sensazione è che il pregiudizio principale è l’egoismo del nord. Lo si percepisce e devo dire che se leggi le dichiarazioni di quelli che vogliono l’autonomia diventa un pre giudizio sbagliato ma indotto. Il vero problema che ho notato in questo anno è che alla fin fine il sud non parla del nord, della questione settentrionale che esiste e il nord non parla della questione meridionale con i suoi problemi; dei livelli di inquinamento del nord o dei livelli di precarietà del sud, nel merito non si entra. Lo sforzo è abbandonare i luoghi comuni ed è uno sforzo collettivo che devono fare in tanti: università, enti locali, sindacati, le grandi associazioni sportive, bisogna creare occasioni di andare oltre i titoli. Il problema da affrontare è quello di un progetto paese che unisca le grandi città in un processo di ricerca».

Parliamo della sua esperienza da assessore. Che città ha trovato?

«Napoli è una città piena di contraddizioni. Quindi ci sono tante cose positive e tanti problemi. Ma è una città soprattutto viva e piena di potenzialità. Certo era abbandonata, ma ha un tessuto straordinariamente pieno di vita che diventa un fattore di grande speranza. Tutto è in movimento. Se, come auspico, saremo in grado di incrociare le dinamiche del cambiamento ce la faremo».

Dai parchi ai trasporti, la città sembra offrire servizi ben al di sotto degli standard europei.

«Ripeto, dieci anni di abbandono si pagano. Quando sono arrivato ho trovato 5 miliardi di disavanzo, 2,2 puro e 2,8 di debito finanziario, questo spiega come il processo di cambiamento non sarà immediato. Sarà un percorso lungo ma a tappe. Abbiamo stipulato il patto per Napoli con il governo che in 20 anni ci dà 1,3 miliardi di euro. Dal canto nostro, come Comune, stiamo facendo la nostra parte: stiamo ricostruendo la riscossione, la cui gara è in fase conclusiva, stiamo procedendo alle assunzioni perché siamo pesantemente sotto organico e io mi sto occupando del riordino delle partecipate. C’è poi il Pnrr grazie al quale attiviamo grandi risorse per le opere pubbliche, a partire dai nuovi treni della metropolitana al completamento della linea collinare per l’aeroporto. Come per i palazzi che hanno bisogno di manutenzione straordinaria, procediamo per lotti. Penso che in due o tre anni le prime azioni misurabili si vedranno».

Nota finale, per quale squadra batte il cuore di Baretta?

Ahimé il mio cuore è per il Venezia. Però devo dire che questo Napoli che ho avuto modo di vedere due o tre volte sta giocando un bel calcio e sta dando spettacolo. Dietro il risultato c’è un lavoro di squadra molto serio, i risultati non vengono per caso, un tifo maturo e una città vitale che partecipa».

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