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No, caro Napolista, non credo proprio che a Caressa daranno il Pulitzer

Avrebbe mostrato lo stesso zelo se il gol fosse stato annullato alla Salernitana? Ho i miei fondati dubbi, è sempre dalla parte dei potenti

No, caro Napolista, non credo proprio che a Caressa daranno il Pulitzer

A proposito dell’articolo intitolato “Piaccia o no, Caressa ha fatto un grande lavoro giornalistico” pubblicato lunedì 12 settembre, su “il Napolista”, a firma del direttore Massimiliano Gallo, mi sia permesso di offrire un “contributo al dibattito”, come si diceva una volta.

L’assunto dal quale parte l’articolo mi sembra molto corretto.

È vero. Caressa ha fatto, nel caso specifico, un lavoro da puro giornalista.

Ha scandagliato la notizia, ha cercato particolari efficaci e concludenti, ha lavorato sulla ricostruzione dei fatti e ha offerto delle considerazioni nuove e, fino a quel momento, ignorate da tutte le analisi effettuate sull’argomento.

L’avvenimento del quale ci stiamo occupando riguarda il gol della Juventus – al 95° minuto della gara Juventus-Salernitana, ferma, in quel momento e a qualche secondo dal fischio finale, sul punteggio di 2-2 – annullato per fuorigioco di Bonucci che si trovava in posizione di offside al momento in cui partiva il tiro che ha portato al gol.

Il merito di Caressa consiste principalmente nel fatto di non essersi “fermato” alla visione del Var il cui “campo stretto” si limitava, come avviene di norma in questi casi, a inquadrare soltanto il mucchio selvaggio che si forma davanti alla porta dove, tra spinte, trattenute, prese da wrestling e colpi bassi, si concentrano quasi tutti i componenti delle due squadre.

Caressa è andato a scovare, in un’inquadratura più ampia che prendeva tutta la larghezza del campo di gioco, un calciatore della Salernitana, Candreva, defilato verso la linea laterale il quale, con la sua posizione, avrebbe tenuto in gioco Bonucci, rendendo, in tal modo, valido il gol annullato.

Ho usato il condizionale per due motivi: il primo poiché non tutti sono d’accordo su questa interpretazione – quella di Caressa – che andrebbe approfondita stante il fatto che “l’inquadratura” che lui ha portato a sostegno della sua tesi, non è stata fornita dagli strumenti tecnologici e protocollari del Var (i cui addetti, assieme a un comunicato dell’Aia, tra l’altro, hanno dichiarato di non aver avuto a loro disposizione nessuna inquadratura a tutta larghezza del campo) ma da altre riprese la cui natura e provenienza non conosciamo (e chi scrive, sa bene quanto sia rischioso, e potenzialmente fallace, fidarsi delle angolazioni di una ‘camera’, di prospettive e di linee ‘tirate’ su un’immagine, se queste pratiche non sono corroborate da tecnologie sofisticate e da operatori specializzati); il secondo motivo concerne la circostanza che non è questo l’argomento principale del quale volevo parlarvi.

Quindi, diamo per buona la versione di Caressa, almeno fino a prova contraria.

E diamogli anche il merito giornalistico, non fosse altro che per il notevole impegno che ha profuso in questa impresa e per la testardaggine, che neanche il Nero Wolfe di Rex Stout, grazie alla quale non ha mollato di un millimetro di fronte alla ricerca della verità.

Peccato, però, che Fabio Caressa non sia un giovane sbarbatello cronista alle prime armi il quale, con entusiasmo giovanile, si lancia in rischiose crociate con supremo sprezzo del pericolo.

No. Questo personaggio non gli si addice per niente.

Lui è un giornalista ormai consolidato e noto.

Tutti lo conosciamo, lo seguiamo e lo abbiamo seguito sia con la giacca sia senza giacca.

Perché lui ha una storia, ha un passato.

E la sua storia e il suo passato non sono neanche lontanamente avvicinabili a quella di chi, pur correndo dei rischi professionali, non si ferma e si lancia alla ricerca di una verità.

No, Caressa non è un columnist del Washington Post il quale, mettendo enormemente a rischio la sua carriera, e non solo la carriera, azzanna il Watergate e non lo molla finché non giunge alla verità.

Certo, nessuno pretende che Caressa faccia dimettere il Presidente degli Stati Uniti o che, almeno, denunci palesi ingiustizie che avvengono davanti ai suoi occhi. Sto parlando, beninteso, di piccole ingiustizie che avvengono nel settore in cui opera (un rigore evidente non dato a una piccola squadra, un’ammonizione o un’espulsione non comminata a una squadra potente).

“Roba minima”, direbbe Jannacci, “se l’è roba de barbun”.

Il dato vero è che il nostro è un bravo giornalista, ma ha una spiccata attrazione verso i potenti.

Li difende sempre e comunque. Non ha mai dubbi su chi abbia ragione. In ogni controversia sappiamo sempre in anticipo con chi si schiererà. E non sbagliamo mai.

Sì, mi rendo conto di essere apodittico in questo mio giudizio molto tranchant.

Ma posso, in questo caso, permettermelo.

E posso permettermelo poiché ci sono tante, ma tante, prove che avvalorano questo mio ragionare.

Non le possiedo io queste prove. Anche se qualcuna potrei averla anch’io, vista la mia mania di registrare e conservare.

Se qualcuno avesse voglia di cercarle, sappia che le può trovare nelle teche dei maggiori network televisivi di questo paese.

Salvo che, nel frattempo, non si siano smagnetizzate o smaterializzate. Incidenti che, ultimamente, accadono spesso. Sempre in questo nostro paese.

Un’ultima considerazione: siamo sicuri che Caressa, a ruoli invertiti – Salernitana alla quale è annullato un gol all’ultimo secondo della partita con le stesse modalità con le quali è stato annullato il gol della Juve – avrebbe usato lo stesso zelo mostrato nel caso reale?

Io credo, caro Direttore, che, almeno per quest’anno, il Pulitzer non lo assegneranno a Caressa.

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