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La trappola dell’architetto Spalletti

Ha predisposto una costruzione bassa che attirasse gli uomini di Klopp, che li invitasse al pressing. Il Napoli creava apriva spazi da aggredire in verticale

La trappola dell’architetto Spalletti
Ci Napoli 07/09/2022 - Champions League / Napoli-Liverpool / foto Carmelo Imbesi/Image Sport nella foto: esultanza gol Piotr Zielinski

La vittoria più grande di sempre non è casuale

L’analisi tattica di Napoli-Liverpool 4-1 deve partire da un concetto primordiale e fondamentale: il merito. La vittoria ottenuta dalla squadra di Spalletti può essere considerata una delle più grandi di sempre nella storia del club azzurro, eppure non è stata casuale. È stata costruita con il lavoro, con l’intelligenza, con la forza, con la qualità. Certo, va anche considerato che il Liverpool visto al Maradona ha giocato troppo male per essere considerato vero, reale. Ma i meriti del Napoli e di Spalletti sono enormi, e vanno ben oltre i difetti manifestati dai Reds. Anzi, il punto focale della gara tattica sta proprio nella capacità, da parte della squadra azzurra, di sfruttare i problemi – quelli di sistema e quelli particolari, cioè riferiti a questa partita – del Liverpool. Di costruire il proprio piano-gara in modo da mettersi in condizione di vantaggio rispetto ai propri avversari.

Mai come in questo caso, iniziare partendo dagli schieramenti in campo, dai moduli, sarebbe fuorviante. Sarebbe un errore. Sì, perché in effetti sia Napoli che Liverpool sono scese in campo con il 4-3-3/4-5-1, ma l’interpretazione di questo sistema di gioco è stata completamente diversa da parte delle due squadre e dei due tecnici. Spalletti ha alternato il pressing intensivo sulla costruzione bassa avversaria a un’attesa per blocchi che ha tolto completamente la profondità al Liverpool, pur lasciandogli il pallone per ampi tratti della gara (all’intervallo il dato grezzo del possesso dei Reds era al 57%); da parte sua, invece, Klopp ha scelto di gestire il possesso portando molti uomini in avanti, lasciando spesso da soli i due centrali difensivi contro gli attaccanti azzurri.

Fin dai primi istanti di partita, il Liverpool sposta sei calciatori nella metà campo del Napoli per provare a sporcare la costruzione dal basso. Gli uomini di Spalletti infilano subito lo spazio che si viene a creare dietro le linee dei Reds.

Come si vede chiaramente in quest’azione nata meno di 40 secondi dopo il fischio d’inizio, la decisione di Klopp si è rivelata nefasta. E lo è stata anche dopo, in tutte le situazioni di gioco: che fosse in costruzione, in transizione negativa o in fase difensiva statica, Matip e Van Dijk hanno avuto delle difficoltà incredibili a contenere gli attaccanti del Napoli. In questo senso, c’è da dire che il calcio di Klopp sembra essere ritagliato perfettamente sulle caratteristiche dei giocatori di Spalletti: storicamente, il Liverpool – come tutte le altre squadre – del tecnico tedesco tende ad allungare il campo e quindi a concederne ampi spazi, a giocare in verticale e tenere alta la difesa nonostante il rischio di subire ripartenze veloci o azioni ficcanti come quelle che vediamo nel video appena sopra.

Come anticipato nei primi paragrafi, Spalletti ha giocato proprio su questo. Ha predisposto una costruzione bassa che attirasse gli uomini di Klopp, che li invitasse al pressing. In questo modo, il Napoli creava – o meglio: apriva – spazi da aggredire, da attaccare in verticale. Attraverso l’utilizzo di uno strumento che può sembrare casuale, ma che in questo caso non lo è stato: il lancio lungo.

I numeri, come al solito, servono a chiarire la questione: secondo i dati a fine partita, il Napoli ha tentato 52 lanci lunghi contro i 50 del Liverpool. Sembra una differenza minima, se non fosse che la squadra di Spalletti ha accumulato una quota complessiva di 381 passaggi, mentre quella di Klopp ne ha messi insieme 584. Basta fare due semplici divisioni per rendersi conto che il Napoli ha tentato un lancio lungo ogni 7,3 passaggi; lo stesso dato, per il Liverpool, sale fino a quota 11,68.

In arancione tutti punti da cui sono partiti i lanci lunghi del Napoli, che in questo campetto attacca da sinistra a desta; in azzurro, invece, ci sono quelli del Liverpool

Anche la geografia di questi lanci lunghi, espressa nel campetto che vedete appena sopra, racconta perfettamente la partita. E conferma la nostra lettura. Solo due volte, infatti, il Napoli ha sventagliato palloni panoramici partendo dalla metà campo avversaria. Questo tipo di servizio è stato utilizzato – e quindi è partito – soprattutto dalla difesa, in modo da esplorare velocemente gli spazi ampi che il Liverpool lasciava tra sé e Alisson. Il ricorso a questa dinamica è stato sistematico, quindi evidentemente provato in allenamento. È qui, in questo punto, che una giocata apparentemente difficile da gestire, per non dire accidentale, si trasforma in un’arma tattica vera e propria. Un’arma ha la stessa identica dignità, anche estecica, di una triangolazione in spazi stretti e a palla bassa.

Certo, il fatto che il piano tattico di Spalletti abbia funzionato così bene è dipeso anche dalla scarsissima compattezza del Liverpool. È stato lo stesso Klopp ad ammetterlo in conferenza. Ma non c’era bisogno delle sue parole: basta riguardare l’azione che ha portato al rigore di Zielinski per rendersene conto:

Tutto perfetto

Rivedere questa azione ci permette di andare a intercettare un altro concetto fondamentale: quello della qualità. In questa manovra del Napoli ce n’è tanta, anche se ci sono due lanci lunghi o comunque medio-lunghi – quello di Meret verso Mathias Olivera e poi quello del terzino uruguagio verso Kvaratskhelia. Prima e dopo questi due passaggi di ampia gittata, ci sono tantissime giocate che denotano sensibilità tecnica e sicurezza. Nell’ordine: lo scambio volante tra Olivera e Zielinski; il movimento di Kvaratskhelia che fa da terzo uomo e poi la riapertura verso Olivera, ad assecondarne la sovrapposizione interna; il doppio tocco sinistro-destro del terzino del Napoli che manda a vuoto l’intervento di due avversari e lancia Kvara nello spazio sulla fascia; i tocchi del georgiano che punta l’avversario occhi negli occhi e l’appoggio perfetto per Zielinski. Fino al tiro del centrocampista polacco, deviato con la mano da Milner.

Ecco, il Napoli è riuscito a vincere e a dominare il Liverpool perché gran parte delle sue giocate sono state fatte tutte con questa qualità. Il lancio lungo di cui abbiamo parlato in precedenza è stata la migliore opzione/situazione tattica studiata e provata per questa partita, quella che ha fatto più male al Liverpool. Ma si è visto in questa azione che il Napoli ha fatto e quindi è stato anche altro: ha mosso il pallone con intelligenza e maturità; l’ha fatto in modo ricercato ma non esasperando le tracce orizzontali, alternando la ricerca dell’ampiezza con quella della soluzione tra le linee; l’ha fatto sempre in modo ambizioso, grazie alla prestazione sontuosa offerta dai due dominatori del centrocampo: Stanislav Lobotka e André Frank Zambo Anguissa.

Le sensazioni oltre i numeri

Per raccontare la notte scintillante di Lobotka e Anguissa, dobbiamo derogare solo per un attimo dallo spirito di questa rubrica, di questo spazio analitico, che di solito esprime i propri concetti solo attraverso i numeri e le evidenze tattiche. Lo facciamo per lo slovacco, che non ha dati scintillanti da esibire eppure è stato uno dei migliori in campo. Per una capacità che non è registrabile se non attraverso le sensazioni: quella di riuscire sempre, in ogni azione, a fare non solo la scelta giusta, ma anche quella più inaspettata.

È così che Lobotka riesce a beffare il suo avversario diretto nella stragrande maggioranza delle occasioni. Ogni controllo, ogni movimento a coprire il pallone e ogni finta dello slovacco permettono al Napoli di guadagnare spazi e tempi di gioco. E il fatto che l’ex Celta giochi sempre con la testa alta e lo sguardo rivolto in avanti finisce per assecondare la tendenza verticalizzante che ormai Spalletti ha impresso a fuoco su questa squadra.

Per Zambo Anguissa, la situazione è diversa. Con lui, per lui, possiamo far riferimento ai numeri. Numeri che sono semplicemente mostruosi: oltre al gol, il centrocampista camerunese ha messo insieme 2 passaggi chiave, 2 dribbling riusciti, 2 falli subiti, addirittura 7 contrasti tentati e 5 palloni intercettati. Anguissa è stato una specie di calamita in grado di attirare il cuoio della sfera. Ha costantemente sporcato le linee di passaggio del Liverpool e poi è andato in avanti a sostenere l’azione d’attacco con grande qualità. Esattamente come successo in occasione del suo gol, il primo realizzato con la maglia azzurra:

Recupero di palla in zona avanzata e poi una perfetta gestione dei momenti, dei movimenti

Rivedere quest’azione ci permette di spostare il focus su un altro aspetto importantissimo del piano partita di Spalletti: il pressing altissimo sulla prima costruzione del Liverpool. Come si vede chiaramente in questa azione, Osimhen e Kvaratskhelia – i due elementi fisicamente più prestanti dell’attacco del Napoli – hanno annusato la possibilità di aggredire i due centrali di Klopp mentre stavano impostando il gioco. E mentre i loro compagni erano tutti, come da sistema storico del tecnico tedesco, oltre la linea della palla.

A quel punto l’esuberanza e la convinzione di Kvaratskhelia in quel recupero palla ha determinato una condizione difficilissima da difendere, per il Liverpool: un rientro profondissimo e quindi inevitabilmente disordinato. Da lì in poi, a cascata, si manifestano le doti fisiche e l’intelligenza del georgiano; la calma e la tecnica di Anguissa; l’intuitività e la classe di Zielinski nel chiudere quel triangolo perfetto. Ma la chiave di questa azione, di questo gol, sta nell’intensità con cui il Napoli tenta di rubare palla. E il fatto che gli azzurri ci riescano.

Victor Osimhen

Pochi istanti prima, era stato Victor Osimhen ad andarsi a prendere un pallone simile dai piedi – ancora – di Joe Gomez. Con la stessa grinta, ma soprattutto con la stessa impostazione mentale, che poi discende dal lavoro fatto in allenamento. È evidente, l’abbiamo detto più volte, che Spalletti abbia preparato la partita in un certo modo. Tra tutte le cose studiate e poi attuate in campo, c’erano queste aggressioni altissime in cui Osimhen è inevitabilmente maestro, vista la sua prestanza fisica, la sua figura grande e grossa.

Allo stesso modo, però, il centravanti nigeriano del Napoli è stato essenziale, anzi perfetto, nell’attaccare costantemente la profondità. Nell’opera di galleggiamento sulla linea difensiva del Liverpool per tenere sempre in allerta Gomez e Van Dijk. A questo proposito, basta riguardare l’azione che porta al rigore poi fallito dallo stesso Osimhen. Anzi, basta il frame al momento del passaggio di Anguissa che ha lanciato il centravanti del Napoli verso la porta di Alisson:

Il passaggio di Anguissa non è ancora partito. Eppure Osimhen, grazie al suo scatto imperioso, si è già preso lo spazio lasciatogli dal Liverpool.

Anche in questo caso il posizionamento e l’atteggiamento difensivo del Liverpool sono completamente errati. Ma il merito è anche del Napoli e di Osimhen: la squadra ha creato le condizioni – come spiegato finora – perché si aprissero certi spazi da attaccare; Osimhen è stato eccezionale nel danzare sempre sul filo del fuorigioco, sempre pronto a correre verso la porta avversaria allungando e allargando il campo. Portando spesso fuori giri Virgil van Dijk, che non è una cosa semplice. Il fatto che anche questa, tra tutte, fosse una dinamica preparata in allenamento, si evince anche da un’altra azione. E non di Osimhen, bensì di Simeone: quella da cui è nato il secondo gol di Zielinski, pochi istanti dopo l’inizio della ripresa:

Cosa vi ricordano lo scatto di Simeone e il lancio per lui nello spazio?

La difesa

L’ultima parte della nostra analisi riguarda il sistema difensivo ibrido scelto da Spalletti. Come detto in apertura e poi mostrato nei vari punti dell’articolo, il Napoli ha predisposto un sistema di aggressioni e riaggressioni selettive, attuate cioè in alcuni momenti particolari della gara. Per esempio, il momento in cui il Liverpool costruiva gioco solo con i due centrali supportati da Fabinho – che quasi sempre, però, veniva seguito da Lobotka o da una delle mezzali. Subito dopo, però, la squadra azzurra andava a ritrarsi, a compattarsi nella sua metà campo, così da chiudere tutte le linee di passaggio facendo densità.

 

Sistema difensivo con blocchi bassi, ma terza linea coi piedi fuori dall’area di rigore

Come si vede chiaramente dallo screen sopra, questo atteggiamento non finiva per schiacciare troppo i difensori verso la porta di Meret. Anzi, il Napoli ha sempre tenuto la linea abbastanza alta, in modo da difendere in un campo piccolo. Una situazione geneticamente avversa al Liverpool e a tutte le squadre di Klopp, un allenatore da sempre amante della fase offensiva da attuare in spazi aperti.

Questa condizione ha costretto i Reds a creare gioco principalmente sugli esterni (poco meno di 3 azioni su 4, il 72%, sono state costruite sulle corsie) e a tentare un numero enorme di cross, addirittura 33. Una soluzione quasi mai pericolosa, vista la supremazia fisica di Rrahmani e Kim Min-jae – ma anche di Olivera e Di Lorenzo – su Firmino, Salah, Luis Díaz. Anche per questo Spalletti ha lasciato volentieri il pallone agli avversari: sapeva che avrebbero fatto fatica a fare il loro gioco, in pratica li aveva già depotenziati.

Conclusioni

Ci sarebbero tante altre cose di cui parlare, da raccontare, da capire: la prestazione deliziosa di Zielinski in fase di rifinitura, quella furente di Kvaratskhelia, un secondo tempo di perfetta gestione tattica ed emotiva, il buon impatto di Zerbin – all’esordio assoluto in Champions – e l’intelligenza tattica di Simeone. Il punto, però, è che tutti questi aspetti discendono a pioggia dal modo in cui il Napoli ha preparato e affrontato la partita. Spalletti ha fatto un vero e proprio capolavoro di architettura, non di ingegneria: la sua squadra ha mantenuto e rispettato la propria identità, il suo dna ormai misto, ibridato tra calcio di possesso e calcio verticale, ma ha anche saputo adattarsi a nuove consegne. A nuovi meccanismi. Al punto da esasperarli e trarne giovamento, anche in virtù della notte da incubo vissuta dagli avversari di turno.

Il fatto che tutto questo sia avvenuto mentre tutti i giocatori in campo riuscivano a tenere alta l’intensità fisica e tecnica della propria prestazione è la notizia più importante. Perché pochissime altre squadre verranno allo stadio Maradona e giocheranno con lo stesso atteggiamento sfrontato del Liverpool, ma allo stesso tempo il Napoli affronterà ancora meno avversarie con gli strumenti per resistere a un gioco così dirompente e così organizzato in ogni zona del campo.

Le gare contro Spezia e Rangers, in questo senso, rappresenteranno l’esame più duro e quindi anche più probante in vista del futuro. Sembra assurdo dirlo all’indomani di un 4-1 – meritato e forse anche un po’ stretto – assestato al Liverpool, ma il fatto che pure Spalletti si sia espresso in questo modo, subito dopo la partita, è un segnale chiaro: le ambizioni del Napoli potrebbero essere grandi, anzi enormi, ma si misureranno soprattutto sulla lunga distanza. E sulla lunga distanza, non ci saranno solo il Liverpool e Jürgen Klopp. Visto com’è andata, paradossalmente, non è un grandissima notizia.

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