Musetti: «Gioco il rovescio a una mano da quando avevo 9 anni: piaceva a mio padre e mi è venuto spontaneo»
Al CorSera: «Ho attraversato un periodo difficile, mi ha aiutato lo psicologo. Ho trovato motivazioni grazie a mio nonno: per lui non giocavo mai bene abbastanza»

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Lorenzo Musetti. A luglio ha vinto l’Atp 500 di Amburgo battendo Alcaraz.
Come si batte il numero 4 del mondo al terzo set dopo essersi fatto annullare cinque match point nel secondo?
«Evolvendosi, crescendo, con una combinazione di lavoro e fortuna. Nel mio caso è stato un percorso graduale, però sentivo che il botto era nell’aria. Doveva esserci una prima volta anche per me: è arrivata ad Amburgo, con Alcaraz che fuori dal campo è anche un amico, giocando la partita più bella della mia carriera».
Ha dedicato la vittoria alla nonna Maria.
«Nel suo scantinato, a Carrara, è cominciato tutto. C’era uno spazio ampio, dove non correvo il rischio di fare danni con la pallina. Il mio primo maestro è stato il muro di nonna Maria, che di fronte alla dedica si è commossa. Ho perso il conto delle ore che ho passato là sotto con la racchetta e il mio babbo».
E’ proprio il padre che gli ha insegnato il rovescio ad una mano.
«Gioco il rovescio a una mano da quando avevo 9 anni: piaceva a mio padre e mi è venuto spontaneo. Simone Tartarini piuttosto ha cercato di svecchiarmi: quando ci siamo incontrati facevo troppe azioni in back, troppe smorzate. Mi ha incanalato verso un tennis più moderno. Come dice lui: Lore, prima viene la torta, poi la ciliegina!».
Parla di suo nonno.
«Per anni, in pensione, mi ha fatto da tassista tra Carrara e La Spezia. Secondo lui non giocavo mai bene abbastanza. Mi arrabbiavo ma ora mi rendo conto che mi ha dato una motivazione in più per migliorarmi. È morto mentre ero a un torneo under12 in Francia: sulla tomba ha voluto un sigaro toscano, la sua passione».
Non le è mai stato dato un ultimatum dai suoi genitori: entri nei top players entro i vent’anni oppure ti rimetti a studiare?
«Mai. Il tennis è diventato una priorità molto presto ma i miei sono sempre rimasti tranquilli. Forse avevano la certezza che sarei riuscito a combinare qualcosa di buono. Da questo punto di vista sono fortunato: ho visto tanti genitori rovinare il divertimento del tennis ai figli, rendendolo un obbligo anziché un piacere. I miei, anzi, mi hanno sempre spinto a investire nei miei sogni. Mamma Sabrina l’ho ricompensata con la maturità da privatista, ci tenevo tanto anch’io».
L’exploit incompiuto al Roland Garros con Djokovic, poi una sfilza di uscite al primo turno (Giochi di Tokyo inclusi) e una delusione d’amore.
«Un periodo difficile, un insieme di cose che si sono incrociate tra tennis e vita privata. È stata una stagione di alti e bassi, con i bassi che si sono prolungati troppo. Ho lavorato molto con pochi risultati: è stata dura, però bisogna avere pazienza. Mi ha aiutato lo psicologo, con cui ho scoperto e tirato fuori certi lati di me».
Un grande ex come super-coach da affiancare all’allenatore storico è uno scenario che potrebbe riguardarla?
«Non è una tappa obbligatoria, dal mio punto di vista. Ho già un aiuto in più da Umberto Rianna, tecnico federale, una collaborazione che intendo coltivare sempre di più».
Anche se si rendesse libero un certo Roger Federer?
«Volentieri ma credo di non potermi permettere di sostenere il suo salario…».