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«Simeone era sotto la doccia quando il Perugia segnò alla Juve. Restò insaponato fino al fischio finale»

Luca Marchegiani racconta a La Repubblica la mitica partita del 2000, che regalò lo scudetto alla sua Lazio. «Non voleva spostare la condizione astrale» 

«Simeone era sotto la doccia quando il Perugia segnò alla Juve. Restò insaponato fino al fischio finale»

La Repubblica intervista Luca Marchegiani. Era nella Lazio che vinse lo scudetto per la sconfitta della Juve a Perugia, sotto il diluvio, il 14 maggio del 2000. Non ci credeva nessuno, alla vigilia, che sarebbe potuto succedere, racconta, anche se attorno alla Juventus c’era un clima strano.

«Vero. La settimana precedente, l’arbitro De Sanctis aveva annullato quel gol regolarissimo a Cannavaro e i vertici arbitrali avevano rilasciato dichiarazioni poco consone. Il resto lo fece Gaucci, motivando il Perugia come lui sapeva».

Quando all’Olimpico finì Lazio-Reggina (3-0), a Perugia non era ancora iniziato il secondo tempo, dopo l’interruzione per la pioggia battente.

«E chissà se lo avrebbero giocato, visto quel diluvio, e quando. Restammo ad aspettare negli spogliatoi, sul nostro campo era già scesa parecchia gente, tutto molto surreale. Ricordo che Simeone saltò fuori dalla doccia perché il Perugia aveva segnato: restò così, insaponato e fradicio per tutto il loro secondo tempo per non spostare la condizione astrale e non irritare la scaramanzia».

Marchegiani era presente anche due anni dopo, il 5 maggio, quando la Lazio sconfisse l’Inter e la Juve vinse a Udine. Per lo scudetto era un incrocio fra Inter, Juventus e Roma.

«Erano sicuri di batterci e segnarono subito: tutto facile, dunque pericolosissimo. L’Inter ci sottovalutò, e dopo il pareggio di Poborski cominciò a intuire la portata del destino. Loro si paralizzarono, pagando la stranissima atmosfera che circondava noi e loro. Stavo in panchina perché quell’anno il titolare della Lazio era Peruzzi, ed ebbi tempo e modo di guardare con attenzione le facce degli interisti. Alla fine mi facevano pena, fu uno psicodramma terribile. Alcuni dei miei avversari erano anche amici, ad esempio Bobo Vieri che fino a due anni prima aveva giocato con noi. È brutto vedere un collega che soffre tanto per causa tua. La loro incredulità diventò disperazione, fu un momento difficile anche per noi».

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