ilNapolista

Cate Campbell: «Il nuoto è maschilista. Una relazione malata tra cibo, sesso e risultati»

A Specchio: «Certi canoni di giudizio valgono solo per le donne. Da junior ho visto dare alle ragazze piatti più piccoli perché mangiassero meno»

Cate Campbell: «Il nuoto è maschilista. Una relazione malata tra cibo, sesso e risultati»

Su Specchio una lunga intervista alla nuotatrice australiana Cate Campbell. Ha 29 anni, ha debuttato alle Olimpiadi quando ne aveva 16. In carriera ha vinto 8 medaglie olimpiche e dodici mondiali. E’ stata la portabandiera dell’Australia, con Patty Mills, agli ultimi Giochi Olimpici di Tokyo. Insieme alla sorella Bronte, compagna di staffette e podi, ha scritto il libro «Sister Secrets» dove racconta la storia della sua famiglia ma e soprattutto le difficoltà di crescere nell’ambiente del nuoto.

Nel 2020 si è fermata: era entrata in depressione. Accadde tutto davanti ad un forno microonde. All’improvviso, mentre riscaldava una tazza di cioccolata, andò via la corrente e lei ebbe una crisi di nervi. Era andata sotto stress, non riusciva più a sostenere la situazione.

«Ai più giovani andrebbero dati strumenti diversi da quelli che ho avuto io. È insensato arrivare al punto di rottura per reagire».

Parla del nuoto come di uno sport maschilista.

«Ha la struttura della società. È abituato a un punto di vista maschile il che ha portato a delle storture. Fino a qui, nelle migliori delle ipotesi, abbiamo curato i sintomi, è ora di affrontare la complessità di un sistema che così come è non funziona più».

Nel libro che ha scritto con la sorella, racconta che le nuotatrici vengono spesso valutate in base al loro aspetto.

«Dovrebbe essere la performance a stabilire che cosa c’è e che cosa manca, invece è semplicemente il colpo d’occhio o peggio il calcolo della massa grassa o di una serie di dati superati».

Una cosa che succede solo con le donne.

«Purtroppo sì. Se un uomo non rende come potrebbe gli si possono far notare eccessi di peso, magari. Per una donna il controllo scatta pure se sei appena diventata campionessa mondiale. Attenta non sei come dovresti. Si sono mai chiesti se a volte delle controprestazioni siano legate al fatto che l’atleta mangia poco invece che troppo?».

A lei non è capitato che qualcuno le rimproverasse la forma fisica, ma…

«No, però appena sono entrata in nazionale, già da junior, ho sentito dire alle ragazze, e solo a loro, che era meglio usare dei piatti piccoli, così da essere sicure di non eccedere. Subito con una relazione malata tra cibo, sesso e rendimento. Per fortuna oggi si è capito che l’approccio non può essere lo stesso per una moltitudine di sportivi diversi».

Bisogna fare di più per i giovani, dice.

«Insistere sul fatto che il successo ha diverse definizioni, se lo avessimo fatto prima Ian Thorpe, un mito del nuoto, avrebbe vinto di più. Non avrebbe smesso a 23 anni, non avrebbe provato a ricominciare tanto tardi. Avrebbe dichiarato di essere davanti a un esaurimento e si sarebbe preso il tempo di uscirne. Allora era impensabile. Il nuoto deve anche questo a Phelps: quando ha salutato, nel 2012 non era pronto a lasciare la piscina ma non ce la faceva più. Ha detto addio e poi si è ripresentato, rinvigorito senza mentire: ero a pezzi eppure non avevo ancora dato tutto. Sorpresa. Poi c’è stata Simone Biles che a Tokyo ha diminuito le gare e le aspettative e lo ha fatto lì, senza scuse. Quando i campioni aprono nuove vie cambia la percezione».

Come mai il nuoto consuma tanto?

«Si inizia da giovanissimi. Io a 9 anni ero già completamente… immersa. E poi c’è il fatto di stare in un altro elemento, sei isolato, anche fisicamente in un mondo abitato solo da te e dominato da ritmi per gli altri sconosciuti».

Questa sarà la prima stagione senza Federica Pellegrini. Ne parla.

«Ancora la ricordo tipo semidivinità ai Mondiali del 2009. Avevo 17 anni, lei sembrava avere una luce intorno: lì ho capito l’importanza della consapevolezza. Lei ti diceva di essere la più forte di tutte anche mentre camminava. Parliamo di un’eccezione, di una fuoriclasse con una costanza incredibile: cinque finali olimpiche nella stessa specialità. Resta un punto di riferimento».

 

 

ilnapolista © riproduzione riservata