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Quanta differenza con le sconfitte dello scorso Napoli con l’Atalanta

Spalletti ha studiato un piano-partita e l’ha attuato. E l’ha fatto per provare a vincere la partita. Non si è consegnato passivamente all’avversario

Quanta differenza con le sconfitte dello scorso Napoli con l’Atalanta
Napoli 04/12/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Atalanta / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: esultanza gol Piotr Zielinski

La prestazione e il risultato

In questo spazio del Napolista, lo sapete, proviamo ad analizzare il calcio in maniera razionale partendo dalle evidenze tattiche e numeriche, senza dimenticare il contesto. Considerando il risultato per quello che è. Vale a dire una conseguenza di ciò che avviene sul campo. Un dato che non è casuale, ma può essere anche un evento incidentale.

Ecco, Napoli-Atalanta 2-3 è una partita in cui la prestazione di entrambe le squadre – data la situazione di partenza – non può essere che applaudita. E vale anche per la squadra che ha perso. Soprattutto in questo caso, perché si tratta di una squadra – ovviamente stiamo parlando del Napoli – che ha dato tutto quello che aveva, che ha pure provato a fare qualcosa di diverso e ci è riuscita. Ma poi è stata battuta da un avversario più forte, almeno questa sera, dal punto di vista fisico e tecnico. Non tattico, e neanche di mentalità.

La rivoluzione di Spalletti

Partiamo dall’inizio, ovvero dalle mosse a sorpresa di Spalletti. Per compensare – almeno in parte – le numerosissime assenze, il tecnico del Napoli ha cambiato completamente modulo e principi di gioco della sua squadra. Chi analizza le partite in maniera superficiale potrebbe dire che la squadra azzurra, con il suo 3-4-3, si è schierata a specchio rispetto all’Atalanta. In parte è vero, ma c’è anche tanto altro: davanti alla difesa a tre (che in fase passiva diventava a cinque con lo scivolamento all’indietro di Malcui e Mário Rui) è stato scelto Lobotka in posizione di pivote; Zielinski, piuttosto che agire accanto allo slovacco, stava qualche metro più su, quasi a determinare un 3-1-3-3 in cui il terzo blocco era costituito dallo stesso Zielinski, da Malcuit e Mário Rui.

Il Napoli riparte da dietro con la difesa a tre. Mentre Lobotka si abbassa per creare il diamante di costruzione, Zielinski non forma il doble pivote. Anzi, corre in vanti.

Altra novità in avanti: il tridente offensivo composto da Mertens, Lozano ed Elmas era incredibilmente fluido, in pratica non c’erano ruoli e/o posizioni assegnate, tutti e tre potevano essere ovunque in qualsiasi momento. Certo, è ovvio che Lozano – rispetto a Elmas o allo stesso Mertens – tendeva fatalmente ad allargarsi sulla destra. Ma spesso il messicano lasciava il suo slot per andare a occupare quello di centravanti, oppure quello di esterno sinistro. Lo stesso discorso vale anche per Elmas, che si è allargato più spesso a sinistra che a destra, più per caratteristiche e (quindi) forma mentis che per attribuzione tattica.

Dall’alto in basso: tutti i palloni toccati da Lozano (35), Mertens (25) ed Elmas (26) nel primo tempo di Napoli-Atalanta

Come detto sopra, però, il cambiamento di Spalletti non va letto come un semplice spostamento in campo delle pedine. Oltre al passaggio al 3-4-3 con il centrocampo “a diamante”, modulo amato e utilizzato da Cruijff e van Gaal, Spalletti ha anche trasformato il modo di attaccare del Napoli, cercando di forzare il dispositivo difensivo dell’Atalanta. L’idea è stata quella di sfruttare a proprio vantaggio quelle che sono le caratteristiche del modello di gioco di Gasperini: costruzione bassa per “chiamare” il pressing avversario; poi. ricerca della verticalità su Mertens e su Lozano e tagli alle spalle dei difensori avversari, così da sfruttare le voragini inevitabilmente aperte dalle marcature a uomo esasperate, e asfissianti, imposte da Gasperini ai suoi difensori.

Il gol di Mertens è un gol estremamente tattico

Basta riguardare questo gol per capire di cosa parliamo: quando Ospina riceve il pallone da Juan Jesus, ci sono cinque calciatori del Napoli nella propria metà campo, seguiti dai loro angeli custodi in maglia nerazzurra (rossa, per l’occasione); il portiere colombiano lancia lungo butta via la palla, perché quel lancio è studiato e trova il perfetto movimento ad accorciare di Lozano; il messicano non solo tocca il pallone quel tanto che basta per non farsi anticipare, ma lo addomestica anche per Malcuit; nell’assist di prima del terzino francese c’è tutta la preparazione della partita da parte di Spalletti: Malcuit sa già che Mertens partirà alle spalle del difensore centrale che l’ha seguito fino a centrocampo; Mertens, a sua volta, sa già che dietro quel difensore non ci sarà nessuno. Non può esserci nessuno, perché l’Atalanta gioca così.

Il Napoli poteva giocarsela solo così

Questa è stata la chiave trovata e usata da Spalletti. La porta si è aperta eccome, perché se il sistema dell’Atalanta ha un bug difensivo, e ce l’ha, è proprio quello relativo all’incapacità di chiudere sulla profondità lunga. E poi è una questione di caratteristiche: con Osimhen e Insigne fuori – oltre a tutti gli altri – il tecnico del Napoli non poteva fare altro che provare a sfruttare le caratteristiche di Mertens e Lozano. Il belga è un centravanti associativo ma sa anche attaccare bene le difese e i difensori alle loro spalle; il messicano è bravissimo a leggere e ad aggredire gli spazi larghi, aperti. Come si vede in un’altra occasione, capitatagli alla mezz’ora di gioco.

Lezione di attacco della profondità da parte di Lozano

Insomma, per dirla con una frase brutale: il Napoli poteva giocarsela solo così. E l’ha fatto anche bene, se prendiamo i numeri complessivi della gara: 15 tiri complessivi, di cui 4 in porta; di queste conclusioni, ben 10 sono arrivate dall’interno dell’area di rigore, e tutte su azione manovrata; possesso palla superiore (55%) rispetto all’Atalanta.

Rispetto all’anno scorso, quando anche Gattuso – proprio contro l’Atalanta – abbozzò un esperimento di difesa a tre per poter compensare un’emergenza infortuni, il mondo si è completamente ribaltato: Spalletti ha studiato un piano-partita e l’ha attuato. E l’ha fatto per provare a vincere la partita. Non si è consegnato passivamente all’avversario, ma ha cercato – e trovato – delle soluzioni che forse l’avrebbero messo in difficoltà. Così è andata, per alcuni segmenti della partita. Poi, però, sono venute fuori non solo la miglior condizione e la maggior profondità dell’Atalanta, ma anche la forza e le caratteristiche migliori della squadra di Gasperini.

Intensità, e ricerca della profondità

Quando si parla dell’Atalanta, si finisce sempre – e giustamente – per magnificare il suo sistema difensivo. In effetti l’aggressività e la costanza mostrate anche a Napoli dagli uomini di Gasperini sono impressionanti: i giocatori bergamaschi accorciano il campo in maniera così intensa da sembrare dei muri di gomma contro cui è impossibile non rimbalzare, e quindi essere rimbalzati. Ma guardare all’Atalanta e fermarsi solo alla sua fase passiva sarebbe un errore. Sì, perché la squadra nerazzurra ha un set di giochi e movimenti offensivi davvero sofisticati e di estrema qualità. Oltre che di grande efficacia.

Tutto, ovviamente, parte dalla fase difensiva di cui abbiamo parlato finora: il pressing sistematico uomo su uomo, aggressivo fino al punto da determinare costantemente delle vere e proprie coppie in campo tra i giocatori di Gasperini e i loro avversari, impone inevitabilmente grande intensità pure in fase di costruzione e rifinitura dell’azione offensiva. Per l’Atalanta, questa idea si concretizza con la ricerca continua della verticalità, soprattutto su Zapata e/o sui due trequartisti che si muovono alle sue spalle. E che fungono da veri e propri creatori di superiorità posizionale tra le linee avversarie.

Se il gol di Malinovskyi nasce da un’azione piuttosto elementare, in cui Duván Zapata ha fatto valere la sua prorompente fisicità, quello di Freuler è invece un vero gioiello tecnico-tattico. Il riferimento alla verticalità e alla superiorità posizionale va ricercato in quello che fa Ilicic: lo sloveno si muove verso il centro e poi dà ampiezza sull’esterno, nello spazio tra difesa e centrocampo del Napoli; il giropalla veloce di Toloi e Hateboer manda in tilt Demme e la piramide difensiva del Napoli, poi al centro ci sono almeno tre giocatori di Gasperini pronti a sfruttare il passaggio di Ilicic. Ci pensa Freuler, ma in realtà quel gol è stato segnato molto, molto prima. E cioè in allenamento negli ultimi cinque anni, da quando Gasperini ha iniziato a lavorare su un’Atalanta che giocasse proprio in questo modo. Con i giocatori giusti per farlo.

La panchina e i falli

Per quanto possa sembrare un’alibi, in questo caso le assenze – quelle che c’erano prima della partita, quelle che si sono determinate nel corso della gara – e quindi anche la possibilità di pescare in panchina hanno fatto la differenza. Ilicic, decisivo con il suo ingresso in campo, non ha iniziato la gara da titolare. Così come Hateboer, che come abbiamo visto ha avuto un ruolo fondamentale nell’azione che ha portato al gol di Freuler. Quindi è possibile dire, dati ed evidenze tecniche alla mano, che i cambi dell’Atalanta siano stati migliorativi, nel senso che abbiano cambiato in meglio la partita della squadra di Gasperini. Determinandone anche il risultato.

Spalletti non ha avuto questa possibilità. Anzi, a un certo punto ha dovuto rinunciare a un calciatore fondamentale per il piano-partita che aveva predisposto, vale a dire Lobotka, e al suo posto ha inserito Demme. Da quel momento in poi, la gara non è stata più la stessa. Per un semplice motivo: la presenza di Lobotka, la sua capacità di fare regia muovendo il suo corpo e poi il pallone, permetteva al Napoli di gestire meglio i tempi di gioco. Quindi, anche i tempi della risalita verticale e rapida del campo che aveva messo in difficoltà l’Atalanta.

Demme è invece  un giocatore molto più dinamico, ma meno cerebrale e intelligente nell’orchestrare la manovra della sua squadra. Un dato a supporto di questa tesi: nei suoi 56′ di gioco, Lobotka ha toccato 62 palloni, poco più di uno al minuto; Demme, che ha giocato 48 minuti, ne ha giocati 31. Meno di 0,65 ogni 60 secondi. Certo, su questo dato pesa il fatto che Demme fosse in campo nel momento in cui l’Atalanta ha prodotto il suo maggior forcing e forse anche il suo miglior calcio, nel segmento in cui la squadra di Gasperini ha schiacciato il Napoli, non gli ha permesso di uscire dalla sua metà campo. Ma resta il fatto che, senza Lobotka, il Napoli ha perso un giocatore con maggior qualità nella costruzione del gioco.

In alto, tutti i palloni giocati da Loboktka; sopra, tutti i palloni giocati da Demme. È evidente che non sia solo una questione di quanto si giochi la palla, ma anche di dove.

Un altro aspetto interessante toccato da Spalletti nel postpartita riguarda i «falli commessi dall’Atalanta nella metà campo avversaria». Secondo il tecnico toscano, si tratta di un meccanismo «da imparare». Al di là del giudizio etico, anche quelli fanno parte del sistema di gioco di Gasperini. Anzi, ne sono una concausa/conseguenza, perché assecondano le marcature altissime e intensissime, prevenendo ripartenze potenzialmente letali negli spazi che si aprono alle spalle dei difensori.

Il rischio, ovviamente, è quello di incorrere in cartellini gialli, perché si tratta a tutti gli effetti di falli tattici. È evidente che i calciatori di Gasperini – e quindi anche il tecnico dell’Atalanta – sono dispostissimi a prendersi questo rischio, anche perché è legato alle loro caratteristiche fisiche. Non più e non meno di tutti gli altri dati statistici fisici che si possono estrapolare dalla partita. E che sono tutti a favore di chi l’ha portata a casa: l’Atalanta, contro il Napoli, ha vinto 17 duelli aerei contro i 9 degli azzurri; ha tentato 35 contrasti, contro i 15 dei giocatori di Spalletti; ha tentato 8 volte il dribbling, contro le 26 dei giocatori avversari. E se il numero di falli è sostanzialmente identico (18-16), la vera differenza sta in quelli commessi nella metà campo avversaria: l’Atalanta è arrivata a quota 14, il Napoli a quota 9.

La mappa dei falli di Napoli-Atalanta: in azzurro quelli commessi dalla squadra di Spalletti, in arancio quelli fatti dai giocatori di Gasperini

Conclusioni

In virtù di tutto quello che abbiamo detto finora, le colpe di Spalletti per questa sconfitta sono davvero minime. Così come quelle dei giocatori del Napoli, autori di una prestazione molto più che sufficiente per quantità e qualità. Menzione speciale per Lozano e Malcuit, i calciatori che hanno messo maggiormente in difficoltà i difensori di Gasperini. Dall’altra parte del campo, però, c’era una squadra molto forte e pure in grande condizione, che aveva a disposizione tutti i suoi effettivi e che ormai pratica, ormai a memoria, un calcio consolidato. Un calcio peculiare, rischioso, ma anche efficacissimo. Soprattutto contro avversari come il Napoli, che pagano un importante gap fisico. E che, questa volta, non hanno potuto pescare dalla panchina delle alternative con la stessa qualità tecnica dei titolari.

Sì, perché come detto è stato evidente che il Napoli abbia pagato dazio dopo l’uscita di Lobotka – ennesimo infortunio. E poi è stata evidente anche la perdita di grip offensivo dopo gli ingressi di Petagna e Ounas al posto di Mertens e Lozano. Certo, Spalletti avrebbe potuto tenere in campo il belga e il messicano, ma va ricordato che in questo momento i titolari sono loro. E all’orizzonte ci sono altre quattro partite in 17 giorni, tra cui Napoli-Leicester e Milan-Napoli. Con Insigne e Osimhen e Fabián Ruiz (e Anguissa e Koulibaly) fuori per infortunio, rischiare il sovraccarico muscolare anche loro sarebbe stato un suicidio.

Resta il fatto che, oltre il risultato, la prestazione del Napoli è stata positiva. E coraggiosa. Nonostante tutte le assenze. Era quello che chiedevamo a Spalletti prima di questa stagione: costruire un Napoli in grado di cambiare per scelta e/o per non subire le emergenze infortuni. Purtroppo si è verificata la seconda ipotesi, e in maniera piuttosto profonda e violenta. Ma il Napoli è ancora una squadra credibile, che ha tanto da dire a livello tattico. A volte, come detto in apertura, il risultato è frutto anche di eventi incidentali. Come incontrare l’Atalanta nel suo miglior momento di forma. Successe anche un anno fa, a febbraio: il Napoli perse nettamente, quasi senza battere ciglio, sia in campionato che in Coppa Italia. Quest’anno, in condizioni più o meno simili, ha giocato una gran partita fino a quando è stato possibile. La differenza c’è, e si è vista tutta anche ieri sera.

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