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Burgnich e il Napoli di Vinicio: «Non mi sono mai divertito tanto a giocare a pallone»

Vinicio lo liberò dalla prigionia del catenaccio. Ebbe qualche difficoltà nella tattica del fuorigioco ma poi si inserì perfettamente nei meccanismi

Burgnich e il Napoli di Vinicio: «Non mi sono mai divertito tanto a giocare a pallone»

Per dodici anni mastino nell’Inter, Burgnich venne nel Napoli di Vinicio che aveva 35 anni, nel 1974. Rimase in maglia azzurra tre stagioni giocando 125 partite (84 in campionato, 23 in Coppa Italia, 18 in Europa).

“Non mi sono mai divertito tanto a giocare a pallone” disse quando se ne andò e chiuse col calcio giocato. Vinicio gli aveva affidato il ruolo di battitore libero invitandolo però a costruire gioco, a partecipare al gioco di tutta la squadra, non solo a spazzare l’area di rigore. Vinicio lo liberò dalla prigionia del catenaccio. Ebbe qualche difficoltà nella tattica del fuorigioco, che faceva parte della strategia innovativa di Vinicio, ma poi si inserì perfettamente nei meccanismi del tecnico brasiliano.

Raccontava la sua vita di calciatore senza enfasi. Davanti alla fotografia nella quale lo si vedeva sovrastato da Pelé nel colpo di testa del primo gol brasiliano alla nazionale di Valcareggi nella finale mondiale 1970 di Città del Messico, diceva senza farsene un alibi che Valcareggi aveva cambiato le marcature.

Raccontava perfettamente quell’azione. Tostao aveva fatto una rimessa laterale, Rivelino aveva girato il pallone verso l’area italiana, Pelé era salito al settimo cielo e Albertosi fu battuto. A Città del Messico era mezzogiorno passato. Si giocò a quell’ora per le esigenze televisive in Europa. In Italia erano le 19.

Ma poi raccontava anche la sua prodezza a Città del Messico quando, nella maratona di gol (4-3) contro la Germania, aveva segnato il gol del 2-2 portando la nazionale ai supplementari di quella memorabile semifinale mondiale.

Alla quinta partita col Napoli ricordo che incappò in un infortunio clamoroso sul campo della Fiorentina. Da metà campo allungò la palla con un forte tiro verso Carmignani non accorgendosi che “Gedeone” era fuori porta. Autogol spettacolare. Pareggiò Clerici su rigore e finì 1-1. Nell’ultimo anno, a Foggia (2-2), rifece lo stesso “scherzo” a Carmignani con una deviazione sfortunata.

Col Napoli vinse la Coppa Italia 1976 e sfiorò lo scudetto nell’anno della partita persa a Torino con la Juventus, Altafini killer della squadra azzurra a due minuti dalla fine, José che era stato nel Napoli fino a tre anni prima. Carmignani, Bruscolotti, Pogliana, Burgnich, La Palma, Orlandini, Massa, Juliano, Clerici, Esposito, Braglia furono gli attori azzurri di quel pomeriggio jellato al Comunale di Torino.

Era nato a Ruda, Tarcisio, un paesino di poche anime in una valle in provincia di Udine, su un antico sentiero di pellegrini. Se non ricordo male, cominciando nelle giovanili dell’Udinese, aveva giocato con Zoff. Dall’Udinese passò alla Juventus, ma ci giocò poche partite vincendo da rincalzo lo scudetto bianconero del 1961. La Juve lo cedette subito al Palermo per avere dalla società siciliana il portiere Anzolin.

Arrivò nell’Inter nel 1962 per cento milioni. In maglia nerazzurra vinse quattro scudetti (1963, 1965, 1966, 1971), due Coppe dei campioni e due Coppe Intercontinentali nelle feroci partite a Buenos Aires contro l’Independiente. Campione d’Europa 1968 con la nazionale di Valcareggi.

Proseguì nel calcio da allenatore, a Livorno, Catanzaro, Bologna, Como, Genova, Vicenza, Cremonese, Salerno, Foggia, Lucca, Terni, Pescara dove smise nel 2001. Il calcio stava cambiando e non c’erano più i terzini di una volta.

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