ilNapolista

La fase evangelica del calcio italiano: «Abbiamo i valori, noi»

È il nuovo tormentone, ripetuto a pappardella. Maldini ha i valori, Marotta ha i valori. Tutti. Finiremo a Gassman che legge i valori della Serie A

La fase evangelica del calcio italiano: «Abbiamo i valori, noi»

Nel Vangelo secondo l’Uefa, Ceferin allarga le braccia ad accogliere il ritorno del figliol prodigo Manṣūr bin Zāyed Āl Nahyān il quale come da parabola classica chiede contrito di essere trattato come un servo. Lui, il povero sceicco del Manchester City, porge l’altra guancia. S’era fatto blandire dal soldo, lo stolto. Per poi ritrovare la via di casa, passando per Damasco. Illuminato dall’occhio di bue del nuovo calcio: i valori. Un faro accecante puntato su tutti noi, da pararci gli occhi pena la cecità.

La Superlega ha solo spiegato meglio questa rivelazione apotropaica: c’eravamo fatti prendere dal materialismo, dalla superficialità corrotta. Un gol, una partita con la birra fredda sul divano, le bestemmie per il rigore negato, il sogno di battere chiunque perdendo quasi sempre. Quando invece era tutt’altro il paradigma: in Italia abbiamo il calcio morale. Condito da manager santi e allenatori madonne, leader della spiritualità candeggiati in sala stampa. La Serie A s’è riciclata: ora è una conferenza episcopale italiana. Il peccato va redento, per confessione. Ma il perdono c’è per tutti, preventivo.

In Inghilterra, al netto delle maglie bruciate in piazza, del governo pronto a legiferare contro la rivoluzione delle competizioni, la stampa sta ruminando la reazione: “E’ l’ora della vendetta”, ha scritto il Guardian. “Le scuse non bastano”.

Ieri a Milan sconfitto ancora caldo – sì, quello che dalle velleità della Superlega è passato a farsi inguaiare la qualificazione Champions da una doppietta di Raspadori – il giornalista di Sky punta il microfono in faccia a Pioli e a muso duro gli chiede:

«Quanto si sente orgoglioso Pioli di essere rappresentato da un uomo di sport come Maldini?»

Pioli, unto dalla commozione, ribatte:

«Sull’integrità morale di Paolo nessuno può esprimere dei dubbi. È una persona che ha tanto dentro, ha tanti valori».

Preghiamo.

Maldini, per la cronaca, aveva appena consegnato alla stampa una dichiarazione d’impotenza imbarazzante: “Io non ne sapevo niente, della Superlega”. Dallo studio potevano giocarsi la replica in vari modi:

  1. “Ma come è possibile?”
  2. “Non crede che un dirigente come lei tenuto allo scuro di una cosa così importante forse dovrebbe minacciare le dimissioni?
  3. “Ah vabbé, ok. A posto così”

Scegliendo ovviamente il terzo approccio, ma più parrocchiale ed estatico: “Che uomo, che valori…”

Poco prima un altro dei protagonisti del golpe sgretolatosi, Marotta, aveva manifestato la pressoché nullità gerarchica del suo ruolo:

«Questa iniziativa è stata portata avanti direttamente dai 12 proprietari dei club. Io non sono Giuda. Non ho tradito nessuno. Ho valori morali, io»

Eccezioni non ce n’erano state, perché tanto bastava: ha i valori, Marotta. E che gli vuoi dire più a uno che c’ha i valori?

Perché è tutto riconducibile alla stessa identità di vedute, la remissione dei peccati, l’assoluzione per rinnego. Dieci ave Maria, due Gloria padre, e la promessa che mai più proveranno a terremotare l’impero del calcio mondiale. Che ce vo’.

Persino quel santo padre di Ceferin, mentre accoglie a frotte i figlioli prodighi, minaccia ritorsioni legali. Da noi, no. È tradizione secolare che qui si lasci fare.

Nel mentre quei mezzi eretici degli inglesi invocano la forca per i traditori, Gravina, presidente della Figc fresco di vestizione dei paramenti liturgici Uefa (l’Eletto in seno all’Esecutivo con un plebiscito), ha già condonato tutto nel nome suo e di chissà chi altri:

«Nessun processo, nessuna sanzione. Non si sanziona un’idea. Noi abbiamo difeso strenuamente regole e valori del calcio».

Eccallà, “i valori”. È una distorsione retorica cominciata ben prima dell’affaire Superlega: in Italia ci siamo fatti prendere dal mito della rettitudine morale incollato sulle coscienze altrui a beneficio della narrazione, ovunque essa vada a parare. Senza mai domandarci di cosa diavolo stiamo parlando.

A meno di voler credere che tutti abbiano approfondito R. H. Lotze e la “filosofia dei valori”, pare abbastanza palese il riferimento a casaccio ad una chimera concettuale. La decenza dell’uomo usata come scudo, il riferimento generico ad una virtù, insindacabile per garbo e – anche – noia. Chi mai contesterebbe all’uomo Pioli, all’uomo Maldini, a chiunque altro (magari per Ceferin e Infantino un sopracciglio lo alziamo), la sua moralità? E perché mai ci si dovrebbe imbarcare in una polemica sull’intima probità di una persona? Che ce ne frega a noi, dei valori? 

Per di più: quali sono questi valori? Ce li dicano, magari approfondiamo.

La logica speculativa che tende ad assimilare l’essere al valore – esiste veramente solo quello che vale, quello che non vale non è – cosa ha a che fare con questa pattuglia di dirigenti (ma anche allenatori, calciatori…) che s’ostina fieramente a raccontarci i suoi fallimenti come sorprendenti, ancorché inevitabili perché spesso “a loro insaputa”? “Sì, abbiamo fatto una figuraccia cosmica, ma abbiamo dei valori…”; “giusto, grazie, un’altra domanda da studio”.

Quando invece raccogliamo genuflessi l’ammissione d’inconsistenza di un personaggio enorme come Paolo Maldini, processandola non nella sostanza dei fatti (ti fai trattare come uno stagista) ma per la cornice morale: che bella persona, Paolo, ci mette la faccia.

De Zerbi, per aver detto cose tutto sommato sensate senza ricorrere al rimestio delle frasi di circostanza, è passato per Malcom X, Robin Hood e Martin Luther King, tutti assieme a rappresentare l’indignazione popolare dalla panchina del Sassuolo. Inutile aggiungere che anche De Zerbi si è autoaccreditato dei famosi valori.

Il calcio è diventato una bolla morale nella quale anche la semplice ammissione delle proprie inadeguatezze viene tradotta esteticamente come un coraggioso atto sacrificale. La maturità, prendersi le responsabilità del ruolo che si riveste, è un superpotere, quasi. È una fiaba il calcio italiano. Abitata da pochissimi cattivi – per lo più orgogliosi d’esserlo – e una confraternita di personaggi in aria di beatificazione. Suona benissimo questa presunzione d’innocenza. Un pezzo d’arte. Tipo: Gassman legge i valori di Marotta.

ilnapolista © riproduzione riservata