Claudio Santamaria: «Più vai avanti nella vita più scegli le persone, meno persone frequenti».
A Repubblica: «Nel cinema ho cercato il modo di esprimere quel che non riuscivo a tirare fuori nella vita. Questo mestiere è stato ed è terapeutico»

Su Repubblica un’intervista a Claudio Santamaria. Ha recitato ne “L’ultimo bacio”, “Gli anni più belli”, “Lo chiamavano Jeeg Robot” e in tanti altri film in cui ha spesso interpretato personaggi segnati da disagi e problemi psichici. Per questo motivo ha ricevuto un premo al Festival della salute mentale da Lo Spiraglio, Fondazione Roma Solidale Onlus. Ne parla.
«Ci siamo sempre cercati, con i personaggi che hanno nevrosi profonde, un cattivo rapporto con la realtà, che vivono un’emarginazione a volte autoinflitta. Ti fanno esplorare lati oscuri della tua emotività, per poi farli trovare a chi ha quelle stesse nevrosi, aiutandolo a iniziare un percorso, o anche solo avendo un dialogo con chi non trova interlocutori nel mondo reale. Ho scelto spesso personaggi che somigliavano a ciò che vivevo nella vita in quel momento».
Come ne L’ultimo bacio.
«Il personaggio che soffre di questo suo desiderio di fuga da un mondo che lo opprime, che non vuole invecchiare e che, dieci anni dopo, troviamo schizoaffettivo e sotto psicofarmaci. Quel personaggio mi ha fatto crescere, oltre a farmi conoscere dal grande pubblico. E poi Paz!, dai fumetti di Pazienza, un personaggio che vive un distacco dal mondo, anche se dentro ha tanto. Anch’io ho cercato il modo di esprimere quel che non riuscivo a tirare fuori nella vita. Questo mestiere è stato ed è terapeutico. E poi Enzo Ceccotti di Lo chiamavano Jeeg Robot, senza famiglia e senza più amici che cerca affetto nei budini e nei film porno e che trova il suo riscatto attraverso il femminile che arriva a mostrargli che il mondo può essere bello e aiutare gli altri è importante per se stessi, che può far riaccendere una luce. Il cinema serve a questo, ad accendere delle luci. È stato importante Rino Gaetano: per anni ho considerato il mio lavoro inutile. Poi un uomo mi ha detto che la sua vita era cambiata con quel film, aveva ricominciato a leggere, affrontato il rapporto con moglie e figlia. Questo ha riacceso in me il fuoco sacro dell’arte».
Racconta da dove arriva la sua solitudine.
«Da una grande sensibilità nel percepire il mondo. Se non trovi riscontri, ti chiudi. Nel tempo scopri che ci sono persone che sono come te. Più vai avanti nella vita più scegli le persone, meno persone frequenti».