ilNapolista

La sottovalutazione di Aguero, il peccato mortale di un tempo in cui fare un sacco di gol non basta più

La stampa inglese lo sta celebrando a scoppio ritardato. Ha avuto due grandi torti: ha reso il gol un’ovvietà e non si è atteggiato a divo

La sottovalutazione di Aguero, il peccato mortale di un tempo in cui fare un sacco di gol non basta più
Tripletta per Aguero

Se prendiamo una qualunque delle compilation dei gol di Sergio Aguero che ingolfano Youtube nessuna di queste dura meno di un quarto d’ora. Quelle fatte bene, coi replay, le esultanze e un po’ di grafica accattivante vanno oltre la mezzora abbondante. Dopo un po’, feticismi del gesto a parte, viene quasi la nausea: per la velocità delle movenze, il tiro fulminante, lo scatto – quasi un vecchio flash fotografico – che trasporta il pallone nella porta. Dopo un po’ il gol è un riflesso accecante. Ripetuto ad oltranza, poi: 257 col City, 380 totali.

Eppure, solo ora che a Manchester gli stanno facendo una statua (letteralmente), solo ora che ha ufficializzato l’addio, è come se tutti – compresi stampa e tifosi – si stiano davvero rendendo conto dell’abbaglio un po’ snob che avevano preso: saluta l’Inghilterra uno dei più grandi attaccanti del calcio, colpevole probabilmente di fare una sola cosa, ritenuta sventuratamente un’inezia: segnare. In tutti i luoghi (e, vabbé… in tutti i laghi) ma soprattutto in tutti i modi: un kamasutra del gol.

In uno dei tanti editoriali che, dopo un giorno per elaborare il lutto – “scusate, non c’eravamo accorti di avere un campione così in Premier” – ora spuntano come funghi, in cerca di attenuanti il Guardian scrive:

“Aguero non ha mai incoraggiato il tipo di mistica che si è formata attorno al fiammeggiante Eric Cantona. Non ha mai corteggiato polemiche come Luis Suarez. Non ha avuto il profilo di Thierry Henry. Non ha mai dichiarato l’ambizione di diventare il più grande calciatore del mondo, come Cristiano Ronaldo. E – diavolo! – non ha nemmeno mai festeggiato un gol facendosene un marchio di fabbrica. Persino Shearer ne ha avuto uno”.

Per quei matti d’inglesi il Kun ha sprecato anche l’occasione di costruirsi un’immagine da maledetto, servitagli su un piatto d’argento dalla parentela acquisita con Maradona, e il divorzio da una delle sue figlie. Avrebbe potuto riempire pinacoteche di tabloid, e invece no: “family man”, padre di famiglia pur con la lontananza, mai una serata storta, mai un allenamento flaccido.

Funziona come il momento di lucidità degli alcolisti: all’improvviso vediamo Aguero. Come un cervo inquadrato dai fari dell’auto, dietro una curva, nella notte. “Il più grande non-grande giocatore della storia della Premier”, come scrive il Telegraph. Che però lo ridefinisce anche “il tiratore più letale” della stessa storia.

Aguero è racchiuso in questo mismatch. Nella nostra evidente incapacità di andare oltre i luoghi comuni, e le intime proiezioni mentali: troppo 10 per fare, così, il 9. Così abituati ad auto-rappresentarci il centravanti come un armadio ad ante variabili, che poi finiamo per ridimensionare la pesantezza degli “armadietti”, talvolta più efficienti. I Muller, i Romario, i Mertens (sì… i Mertens!). Gente un po’ tozza, col baricentro rasoterra, inchiodati al prato, alimentati a polvere da sparo.

Aguero è solo lo straniero più prolifico della storia del campionato inglese. E’ solo l’attaccante col miglior rapporto minuti-gol in assoluto. E’ solo il quarto nella classifica di tutti i tempi dietro Alan Shearer, Wayne Rooney e Andy Cole (per ora). Nelle cinque stagioni tra il 2014 e il 2019, Aguero ha segnato – solo – più di 20 gol ogni anno. Ma – solo! – nelle ultime due è stato nominato nella squadra dell’anno dalla Premier. Per quel che contano i premi della critica, Aguero non ha mai vinto nessuno di questi riconoscimenti posticci – i vari PFA, FWA, il Premier League Player of the Year. C’è sempre un “solo” appiccicato alla sua carriera come le gomme sotto al banco delle medie. Un’appendice di ridimensionamento totalmente artefatta. Inspiegabile.

E’ come se ci fosse una discrepanza tra l’Aguero reale e quello percepito. Per ribadire il concetto, il Telegraph ha scritto un pezzo riassuntivo dei suoi record statistici. Un’auto-ammonizione, quasi: come abbiamo fatto a non rendergli onore, a uno così?

statistiche Aguero

Il manifesto del suo essere Aguero è anche il gol più celebrato della storia del Manchester City: il gol segnato al minuto 93:20 (c’è anche una sala intitolata a quel preciso secondo, all’Etihad Stadium) contro il Queens Park Rangers, su assist di Balotelli. Quello del titolo del 2012. Quello che, vissuto dal campo, fu così:

I brividi. Il gol – scrive il Guardian – che ha cambiato la storia di un “club definito dal dubbio, sinonimo di fallimento, per il quale se qualcosa poteva andare storto di solito lo faceva”. Aguero vinse “l’ultima battaglia tra il vecchio City e il nuovo City”, che ora accreditiamo d’un blasone che prima di lui non aveva.

Ciononostante ha goduto di una rilevanza appena sopra la media. E’ stato un martire della comparazione, ma se ne rendono conto col fuso orario, recriminando un po’. Quest’argentino troppo affilato per dirsi tale ha visto la sua mania per il gol, ossessiva, compulsiva – ma anche tecnicamente multiforme – annichilita dal tandem di mostri che s’aggirava per l’Europa al suo stesso tempo: nel 2014/15, quando lui segnava 32 gol, Ronaldo ne faceva 61, e Messi 58. Solo un esempio, tanto per.

Ma i suoi numeri sarebbero bastati comunque, in un momento diverso della storia del calcio, a definirne l’identità. Invece ad un certo punto abbiamo deciso che l’effetto sorpresa, l’estetica e tutte le sue perversioni, contassero quasi di più di quella banale linea retta che unisce due punti: il piede che tira, la palla nella rete. Quella sostanza che ha preso ad annoiarci, forse assuefatti alla riproduzione del gesto artistico – il gol – consumato in formato highlights. Come la carrellata dei 200 e passa gol di Aguero, messi in fila in una raffica quasi stucchevole.

Se ne sono accorti per un pelo, gli inglesi. Hanno fatto in tempo a sentirsi investiti da quest’addio, recuperando di colpo la sensibilità per apprezzarlo a scadenza. Nell’imbarazzo e la franchezza con cui ammettono l’errore, e si scusano per il disagio, gli inglesi riabilitano la poca considerazione concessa al giocatore, e – di più – al gol come concetto a sé stante. Di cui Aguero è portatore sano. In quest’epoca patologica, è quasi una colpa.

ilnapolista © riproduzione riservata