Trasparente, buono, sincero, onesto. È Gattuso ma viene dipinto come Forrest Gump
Continua a dirsi "cazzuto" ma i giornalisti - molto amici suoi - lo dipingono come un ingenuo. E questo (presunto) candore rischia di rovinargli la carriera

Mamma diceva sempre che la carriera è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quella che ti capita. Soprattutto se sei “troppo buono”, “troppo sincero”, “troppo onesto”, la attraversi di corsa inseguendo una nomea che ti precede. Fino a quando poi scoppi, non ne puoi più. “Ero un po’ stanchino”.
Rino Gattuso è “uno cazzuto”. “Io sono così”, ripete in tv ogni volta che gli chiedono che c’ha. Non si trattiene, non riesce. E infatti la domanda scatta come una tagliola: che è successo? Rino, il veleno? Dove sta il veleno? Lui si presta. Ma quella cazzutaggine autorappresentata ora viene percepita e tradotta con altro sentimento: “E’ troppo sincero”, “è troppo onesto”, “è troppo buono”. “Rino è così”. Fa niente che lui dica di no: “Io sono cazzuto!”, ripete sbattendo i piedi a terra, e dallo studio annuiscono: “Poverino, è troppo trasparente per questo mondo infame”.
Gattuso è vittima del suo personaggio, non gli appartiene più. Quando il treno della narrazione parte è complicato da regolare, va per deriva verso i suoi estremi, patologizza. E così la crisi viene interpretata per schemi. Lui è ormai dipinto per eccesso come Forrest Gump sulla sua panchina. “L’incompreso Gattuso”. Col bollore dei primi tempi ormai stemperato da troppe aureole posticce. Hai voglia a sbatterti: non sei più un duro se ti sfoghi tre volte a settimane.
Nel pallone delle interviste anestetiche i “badass” non hanno bisogno di troppe chiacchiere. La retorica del sacro spogliatoio impone che l’allenatore attacchi i giocatori agli armadietti e poi vada in tv col mezzo sorriso a recitare l’appello dell’sms solidale. Così ha fatto Fonseca, l’altra sera, e Caressa sghignazzando gliel’ha rinfacciato: “Lo sai che significa ‘paraculo’ a Roma?”. Ecco, e Rino? No, Rino che poco prima s’era profuso nell’ennesimo sbotto viene analizzato con spirito ecumenico, condiscendente: “Rino è così”.
Così come? Così… naif.
I giornali che gli sono amici, in verità quasi tutti – come fai a non essere amico di uno “così”? – sono pieni di commenti ammorbidenti. Un coccolino concentrato di “è troppo schietto”, “è troppo furbo”. Anche adesso che gli ultimi giapponesi stanno rovinosamente tornando ad un realtà nella quale nessun “rinnovo” esiste più, resiste il paracadute morale:
“è uscito fuori il peggior difetto di Rino, la trasparenza, la mancanza di quella diplomazia furbetta che gli impedisce di prestarsi a mosse scorrette. Un pregio gigantesco, un limite che lui stesso riconosce”.
scrive Libero, proponendolo per la beatificazione.
Il punto è che questa riformulazione del personaggio a lui proprio non va giù. Non vuole essere mica compatito. Non può permettersi di passare per quello ingenuo. Il candore se devi fare il Motivatore di professione è controproducente. Ha innescato un meccanismo comunicativo che gli si sta ritorcendo contro. Ma non riesce a trovare carte diverse da giocarsi, evidentemente.
Tutta la grammatica del vittimismo (“scrivono che sono malato, che c’ho la pescheria”, ecc…) prevede un tornaconto. Un salvacondotto d’immagine. Ma la promozione da santo a martire è questione d’un attimo: il “povero Rino” è un mostro mangia-reputazione.
Mamma diceva sempre: devi gettare il passato dietro di te prima di andare avanti. Gattuso non va avanti perché è rimasto bloccato in questo presente di ipersuscettibilità, che nuoce a lui soprattutto.
“…e non ho altro da dire su questa faccenda”.











