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«In Uganda mi insultano perché sono bianco. Capisco i calciatori neri in Serie A»

Avvenire intervista Stefano Mazengo, sbarcato in Uganda dalle giovanili dell’Hellas: «Da noi ero tra i più bravi tecnicamente. Qui hanno il tocco di palla fatato di chi gioca per strada senza scarpe e con palloni improvvisati».

«In Uganda mi insultano perché sono bianco. Capisco i calciatori neri in Serie A»

Avvenire racconta la storia di Stefano Mazengo Loro, giovane promessa delle giovanili dell’Hellas Verona, laureato, mancato manager dell’Adidas che è diventato centrocampista del kampala Capital City Authority Football Club. Si è trasferito in Uganda nel 2006.

«Sono diventato professionista a 26 anni. Stavo aspettando una risposta di lavoro da Norimberga che poi non si è concretizzata. Sostenni quindi un provino per il Kcca FC, storico club della massima Serie locale. Andò bene, tanto che successivamente firmai il mio primo contratto».

Oggi, con la sua squadra, punta a vincere campionato e Coppa Nazionale.

«Io sono un privilegiato. I miei genitori sono medici e non abbiamo problemi economici. Al contrario di molti miei amici, che sin da bambini, sognavano di diventare professionisti solo per uscire dalla povertà».

Racconta la sua esperienza in Africa. Chi pensa che si punti tutto sul fisico sbaglia:

«A Verona ero tra i più bravi a livello tecnico. Qui non lo sono mai stato, ma neanche lontanamente. Hanno quel tocco di palla fatato di chi ha giocato per strada senza scarpe adatte e con palloni improvvisati. È vero, manca la tattica e ed il senso di posizione. Forse è per questo che il mister mi schiera alla Busquets. Ma il potenziale è enorme. Come dimostrano quelle umiliazioni ai club del Vecchio Continente degli anni addietro accennate pocanzi».

E racconta di essere spesso vittima di razzismo.

«Ogni volta che giochiamo fuori casa i tifosi avversari mi insultano. La mia colpa è quella di essere bianco. Sui social ho subito attacchi di ogni tipo. All’inizio stavo malissimo, poi un po’ mi sono abituato. Ma comprendo perfettamente cosa possano provare, all’inverso, i calciatori di Serie A. Qui chi usa questa: “race card” per offendermi, lo fa soprattutto per ignoranza. Non tutti conoscono la mia storia».

 

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