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Da “angeli” a “dittatura sanitaria”, medici e infermieri ormai sono quasi dei rompicoglioni

Consumata la retorica del primo lockdown, ora gli eroi sono i commercianti in piazza “per la libertà”. Così “abbiamo deciso di convivere col virus”

Da “angeli” a “dittatura sanitaria”, medici e infermieri ormai sono quasi dei rompicoglioni

L’ultimo atto del disprezzo sarà la pietra lanciata contro l’ambulanza. Ci si arriverà. A Rimini sono avanti, ci sono già arrivati: hanno distrutto una settantina di auto di medici e infermieri. Poco fa li chiamavate eroi. Poi vi faceste prendere la mano ed eroi furono i commessi dei supermercati, i banconisti, i precettati delle portinerie, i corrieri di Amazon. In questo Paese in cui il titolo di Dottore lo distribuisce il parcheggiatore abusivo in funzione della generosità delle mance, lo specialista di pronto soccorso e il rianimatore bardato da Ghostbuster che per 20 ore veglia persone prone che respirano grazie ai tubi e basta, sono ora al pari del barista impossibilitato per legge a scontrinare caffè fino a tarda ora. Quando gli va bene. Per moltissimi altri – negazionisti della prima ora o commercianti rivoluzionari a Dpcm alterni – quelli che in primavera erano i “nostri angeli” ora sono solo dei gran rompicoglioni.

Bruciata per sovraesposizione primaverile tutta l’epica degli operatori sanitari rovinati sulle sedie, quelli ritratti con le piaghe da mascherina a segnarne le facce distrutte, ora passano per menagrami. A volte, quando rincasano, il condominio li accoglie come reietti, portatori di infezione. Untori.

I medici, che in queste ore – senza che se ne parli all’aperitivo, per non scalfire il morale delle truppe dello spritz – vengono trasferiti nei reparti riconvertiti, chiamati in servizio pure se stanno male, letteralmente buttati in corsie a loro ignote per fare numero, fronte umano al dilagare dell’epidemia, sono quasi un problema. Trasmettono ansie e paure. Vi raccontano un mondo che non volete, che non esiste, basta non pensarci troppo. In alto i calici.

Per restare alle cose locali, in Campania il primo lockdown fu affrontato con sopportazione. In realtà era una paura fottuta, rivenduta all’estero come l’ordine e la disciplina tipici dell’Italia. Avevate un centesimo dei positivi d’ottobre ma disinfettavate la verdura in camera iperbarica per tre giorni prima di mettere l’insalata a tavola. Stretti a coorte, pronti alla morte.

Ora che invece i numeri sono simil-lombardi tutti Adam Smith, ultras del libero mercato degli uomini liberi. Il virus se ne faccia una ragione, Federbalneari non si piegherà.

Com’è che si dice adesso? Avete “deciso di convivere col virus”. Avete accartocciato i giornali che non compravate con tutte le loro metafore belliche del 15-18, le cronache affannate dalle terapie intensive. I virologi in tv sono scaduti come il latte della settimana scorsa. Resiste appena il rito del bollettino quotidiano, che processiamo con la noncuranza che si riserva ai numeri del Superenalotto. Tanto vincono o perdono sempre gli altri.

Avete consumato una stagione di devastazione reale e percepita, come fosse un reality ben congegnato. Poi, prenotati ombrellone e due lettini in fila 14, siete partiti per la villeggiatura. Infermieri e medici compresi, vicini d’ombra cui consegnare la benedizione, una pacca non più asettica sulla spalla a garanzia della vostra gratitudine e via così, che l’abbiamo sfangata.

Visto che si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, è venuto giù tutto alle prime piogge. Ma voi che dovevate uscirne migliori mentre “uscivate” cani e peluche da passeggio, che cantavate Abbracciame sui balconi coi figli a panificare nel tinello, voi che avevate giurato di essere maturati come popolo ad ogni inno di Mameli delle 18, state ora in piazza con la mascherina svolazzante, e difendere “la libertà” dalla “dittatura sanitaria”. Contro le “forti raccomandazioni” del governo che meglio vi rappresenta, devastati dall’impossibilità di non ritirare una marinara oltre le 22. Mentre la rincorsa delle istituzioni si proietta alla “salvezza del Natale”, dettando ove ce ne fosse bisogno le priorità e il coccodrillo del senso del ridicolo. Un Paese con la maturità di un cinquenne viziato.

Nessuna manifestazione di piazza per le scuole chiuse, almeno in Campania – l’unica regione al mondo che le ha chiuse, tra l’altro. Ma per i pub sì, per le palestre eccome. Per gli ospedali? Figurati…

I vecchi “eroi”, che già ad aprile malsopportavano queste etichette troppo appiccicose e subodoravano la presa per il culo, sono chiusi dentro coi malati. E stanno bene là. Facciano quel che devono, possibilmente non facendovelo pesare troppo.

Fuori c’è la seconda ondata dei nuovi eroi, intanto. Quell’Italia “che si regge sulle partita Iva, le piccole e medie imprese”. Sull’indotto, la parola preferita dallo “straw man argument”: l’argomento fantoccio che ti fa vincere ogni dibattito morale. Eh, ma l’indotto… “Non si muore di Covid, ma di fame” è diventato un tormentone da ascensore, al posto di “non fa caldo, è l’umidità signora mia”.

L’Italia siete voi, ora. Nessuno si senta offeso. Quelli che poi ti dicono ‘Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera’. Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.

L’avesse immaginato, De Gregori nel 1985, di essere populista con così tanto anticipo, avrebbe lasciato il cantautorato, per prendersi – magari – una laurea in medicina.

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