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Se Adl non facesse tamponi ogni quattro giorni, tutto questo casino non sarebbe successo

A conti fatti, ha pagato anche la sua maniacalità. Un’ondata di fango si è abbattuta su di lui (e Napoli). Un po’ per i suoi atteggiamenti, un po’ per pregiudizi profondamente radicati

Se Adl non facesse tamponi ogni quattro giorni, tutto questo casino non sarebbe successo

Sono in via di spegnimento i fuochi accesi per la positività di Aurelio De Laurentiis (notizia data ieri mattina dal Napolista). Il presidente sta meglio, anche la moglie, e molto probabilmente stamattina abbiamo letto gli ultimi sussulti editoriali sulla sua vicenda. Col passare delle ore, appare sempre più chiaro che da parte di Aurelio De Laurentiis non ci sia stata irresponsabilità. È partito da Capri senza sintomi, a parte il mal di pancia. E ha saputo della positività perché lui – da persona scrupolosa, noi lo abbiamo definito “maniaco alla Verdone”, e anche avendone le possibilità (non solo economiche) – si sottopone a tampone ogni quattro giorni. Lui e tutte le persone che lavorano con lui. Non ha fatto il tampone perché aveva dei sintomi, ma per seguire la sua nuova routine. Anche a Castel di Sangro, negli incontri da lui organizzati, ha preteso che i relatori fossero preventivamente sottoposti a tampone.

Il dato ci interroga sul nostro rapporto, in generale, con il coronavirus. Oggi essere positivi, subire il contagio, sembra quasi un’onta di cui vergognarsi. De Laurentiis si è trovato addosso una discreta dose di fango. Per un giorno è stato il Briatore del calcio italiano. Hanno giocato due fattori: lui che non è propriamente un personaggio che catalizza simpatia, per dirla eufemisticamente; e poi la città che rappresenta: Napoli eternamente condannata a subire lo stesso trattamento mediatico nei secoli dei secoli. In maniera immutabile, come ha confermato stamattina su Repubblica Francesco Merlo che per il suo articolo è andato in archivio, ha aperto lo scatolone “Napoli” e ha estratto Pulcinella, Totò che mangia gli spaghetti, i lazzari e altri sempreverdi. Non mancava niente. Potremmo ricordare la diversità di trattamento riservata a Gasperini per la sua autodenuncia postuma, ma ci porterebbe in altri territori.

De Laurentiis non ha fatto nulla per attirarsi simpatie, anche negli ultimi venti giorni. Dal ritiro di Castel di Sangro – che ci ha lasciati scettici dal primo momento – alle minacce a Uefa e Fifa («da denunciare se un calciatore dovesse tornare positivo dalle Nazionali»), è un po’ come se se la fosse chiamata. Va aggiunta poi la circostanza – poco comprensibile – della positività non dichiarata di un dirigente della società. A tanti non è parso vero prenderlo figuratamente a cazzotti. E infatti hanno picchiato. Qualche presidente ha anche potuto prendersi una rivincita dopo aver subito una sconfitta politica. Ne è emersa, per buona parte della giornata di ieri, la figura di un signore gradasso e strafottente che si vantava di aver fatto scorpacciate di ostriche mentre allegramente contagiava il mondo.

Adesso è chiaro se non a tutti, ma a tanti, che le cose non stanno così. Resta una domanda: cosa sarebbe successo se De Laurentiis non avesse avuto l’abitudine di sottoporsi al tampone ogni quattro giorni? La risposta è: non sarebbe accaduto niente. Avrebbe accusato la febbre dopo l’assemblea in Lega e poi più nulla, visto che oggi sta meglio. Solo se si fosse sottoposto a un tampone, avrebbe saputo della positività nella giornata di oggi. E quindi viene da porsi un’altra domanda: la scrupolosità è da considerare un bene o un male? A giudicare dalle prime reazioni, sembrerebbe un male. Ma passata l’ondata emotiva, potrebbe cambiare il punto di vista. Resta un altro tema decisamente più ampio: l’enorme disparità di accesso ai tamponi tra alcuni cittadini e la stragrande maggioranza della popolazione.

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