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Chi farà la formazione? Il coach o il Covid?

È appena cominciata una stagione particolare, con le solita dittatura mediatica (stavolta denunciata anche da Sconcerti)

Chi farà la formazione? Il coach o il Covid?

Mercanti e presidenti. È l’ora dei secondi. Una volta si rinchiudevano come penitenti all’hotel Gallia per la quarantena del pallone. E ne venivano fuori quando l’affare era fatto. Oggi si tratta globale, in ogni stagione dell’anno: mediatori dispersi in ogni parte del mondo. Ricchi, anzi ricchissimi, costruttori di ponti finananziari, percorsi da sceicchi, fondi pensione, russi spendaccioni, asiatici comunisti col vizietto del Capitale.   

Chi farà la formazione? Coach o Covid?

Mentre il virus, secondo la bella metafora di Ilaria Capua, ricercatrice italiana emigrata a Miami, abbandona la foresta nativa e prende l’aereo, infettando a grande velocità, il mondo degli umani, il calcio osserva i propri riti e niente lo fa deflettere. Si è inaugurato il campionato afono, il più strano della sua storia, le squadre ancora in cantiere, i numeretti del gioco dei moduli, i primi contagi in diretta, chi farà la formazione? Il coach o il COVID-19? C’è tutta l’isteria di un lussuoso gioco, che teme per sé e per una possibile decadenza.

Quando il calcio era anche letteratura

Carmelo Bene, invitato una volta al Processo di Biscardi dopo la tragedia dell’Heysel, in uno storico scontro televisivo con Maurizio Mosca – argomento la violenza negli stadi – avventò provocatoriamente “ma che volete che siano i morti dell’Heisel di fronte alla violenza di un pareggio annunciato”. Un paradosso, ovviamente. Parole oltre il riconosciuto. Per dire che la violenza s’annida anche in insospettabili e pacifiche attività. Un mondo che andava svelato, l’eterna battaglia di Biscardi per la moviola in campo, ahimé approdato dopo trent’anni all’equivoco Var, giornalisti-scrittori con nobili curriculum alle spalle, che scrivevano di calcio ma facevano letteratura italiana. Ghirelli, Brera, Mura, Tosatti, Cucci, Sconcerti, Pacileo, storiche firme dei giornaloni e autori di lavori letterari. Per dire che calcio e cultura si trasmettono suggestioni ed energie vitali, che fanno i conti con la vita, in tutte le sue pieghe, oggi depauperata dagli interessi e alla prova del ‘corona virus’. Si vedrà di che pasta è fatto il calcio, alla ricerca di una sua anima.

Sorelle pigliatutto

Per chi oggi trova il coraggio di dire le cose come stanno, Ziliani per il Fatto Quotidiano, il Napoli sarebbe da scudetto senza questa serie A. E “ho detto tutto”, affermerebbe Peppino De Filippo incalzato da Totò “ma non dici mai niente”. Finalmente, almeno a parole, si giocherebbe alla pari. Una denuncia tweet e una sorta di ravvedimento operoso, non troppo frequente nei commenti calcistici. Più accurata ed esplosiva la denuncia – rammarico di Sconcerti. Chiara chiara e senza mezzi termini. Dittatura di tre squadre (indovinate voi). Comunicazione ed editori che lavorano soprattutto per gli interessi delle tre piazze calcistiche di Serie A. Non c’è sport, non c’è sorpresa, storia, intelligenza, ma, secondo Sconcerti, solo sudditanza, pigrizia, asservimento. Letterale. È un’offesa per le altre squadre, che vedono occupati tutti gli spazi dalle tre sorelle quasi sempre scudettate. “Poi vi meravigliate se gli italiani non tifano per le italiane in coppa”, l’amara conclusione.

Le disuguaglianze

Si ritorna passo dopo passo, pandemia permettendo, al calcio comprato o venduto, alle sue ingiustizie o, se volete, alle sue “violenze” morali, ai risultati scontati, al Var che favorisce o sfavorisce. E’ il tesoretto, nel bene o nel male, del principale divertimento degli italiani. Anche lingotti d’oro purché esista.

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