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Lucescu e il calcio anni 80: «Anconetani padre padrone. Pagava a fine stagione, diceva che rendevamo di più»

Al Corsport racconta il comunismo, la bella vita a Brescia con Corioni: «A Pisa ero uno schiavo». Attacca Fonseca ed elogia Insigne

Lucescu e il calcio anni 80: «Anconetani padre padrone. Pagava a fine stagione, diceva che rendevamo di più»

Il Corriere dello Sport ospita una lunga intervista di Claudio Beneforti a Mircea Lucescu. Ex bandiera della Dinamo Bucarest e tecnico della Nazionale romena, ha allenato anche in Serie A, Pisa, Brescia, Reggiana e Iter. Poi un’avventura allo Shakhtar e la Nazionale turca.

Racconta com’era giocare sotto il regime, in Romania.

«Ai tempi di Ceausescu, se ti andava bene, potevi vincere la Coppa, il campionato no, quello non te lo facevano vincere, spettava alla squadra del partito, lo Steaua, che rappresentava l’esercito. La Dinamo apparteneva al ministero degli affari interni, della polizia, il Rapid a quello dei trasporti finanziari, il Progresul a quello delle finanze, poi c’erano 4 squadre in rappresentanza dei ministeri dell’Educazione».

Racconta la finale di Coppa dell’88, tra la sua Dinamo e lo Steaua.

«Siamo sull’1-1, quando a loro viene annullato un gol in netto fuorigioco. Sai cosa fecero quelli dello Steaua? Uscirono dal campo. Dopo aver ricevuto l’ordine di ritirarsi dagli uomini del partito presenti in tribuna. Sicuri del 3-0 a tavolino, facemmo un giro di campo con la coppa tra le mani, ma il giorno dopo ci dissero che la partita era stata data vinta allo Steaua. A regime finito, lo Steaua avrebbe voluto ridarci quella coppa, ma la Dinamo non l’accettò».

Tanti gli aneddoti che racconta sul suo passato. Impossibile riportarli tutti. Ecco cosa dice di Anconetani suo presidente al Pisa. Al Pisa ebbe anche Simeone come giocatore.

Era un grandissimo personaggio, ma lavorare con lui era difficilissimo. I suoi pediluvi in una tinozza nell’hotel del ritiro di Volterra, le sue tasche sempre piene di sale che spargeva sul campo prima delle partite, il passaggio sotto la curva per ricevere gli applausi dai tifosi. Anconetani era un tipo molto scaramantico. (…) Era possessivo, quasi geloso, se si accorgeva che la gente voleva più bene a un altro che a lui, si innervosiva. Amava cucinare la pasta asciutta, a volte la serviva anche a tavola e guai a chi non la mangiava. Era un padre-padrone. Ma tu lo sai che lo stipendio Romeo lo pagava sempre a fine anno? Così diceva che avremmo sempre dato il massimo. Caso mai, ogni tanto ci portava in un negozio di abbigliamento di Montecatini Terme dove ognuno di noi poteva scegliersi un capo. Io ho ancora un pullover di Missoni di allora. (…) Quando perdevamo era un dramma, per punirci poteva inventarsi di tutto, andare in ritiro, farci svegliare alle sette del mattino e camminare per strada. Soprattutto a Volterra, dove arrivavamo fino a Piazza dei Priori. E non gli importava se fuori era meno dieci. In pratica voleva decidere tutto lui, il programma, il ritiro, la tattica da fare. Forse anche la formazione.

A Brescia, invece, fu trattato come un re da Corioni.

Passavo dalla prigione di Pisa alla libertà assoluta con Corioni, una sera ogni tanto potevo anche andare al night per bere un whisky. A Pisa ero un servo, a Brescia comandavo per la grande amicizia che mi legava a Corioni.

Racconta anche l’avvicendamento sulla panchina dello Shakhtar in favore di Fonseca. Dice di essere rimasto male per l’atteggiamento del tecnico.

«Non mi ha detto neanche grazie per la squadra meravigliosa che gli avevo lasciato, sarebbe bastata una sola telefonata».

Elogia Mancini, per lui il calcio non è mai stato giocare per lo 0-0.

Parla dei calciatori italiani, anche di Lorenzo Insigne.

«Dite che in Italia non ci sono più i Baggio, Totti e Del Piero? Le generazioni finiscono e si rinnovano. Ma non si deve vivere di ricordi, è più costruttivo pensare a far crescere i giovani. Zaniolo, Pellegrini, Chiesa, Castrovilli, Tonali, Barella possono diventare grandi calciatori. E Insigne e Immobile lo sono già».

E conclude sul calcio.

«Vorrei che ripartisse dovunque prima possibile, in sicurezza è chiaro, ma spero che riparta. Il calcio è vita, passione, amore per tanta gente, senza calcio io non sarei mai stato Mircea Lucescu».

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