In Italia il dibattito è fermo agli stipendi, In Inghilterra invece si parla di salute e sicurezza. Gli esperti di diritto del lavoro a L’Independent: “Se si fermano, sono protetti dalla legge”

N’Golo Kante non si allena. Ha paura. Il fratello maggiore del centrocampista francese è morto di infarto nel 2018 e suo padre è morto quando Kante aveva solo 11 anni. Il Chelsea gli darà tutto il tempo di cui ha bisogno. Il Chelsea capisce, non c’è problema.
Non è il solo. Ma in Inghilterra, dove i calciatori più che degli stipendi sono preoccupati per rischi per la salute loro e delle loro famiglie, cominciano a porsi l’annosa questione: che succede se i giocatori decidono di non giocare? A proposito di battaglie sindacali…
The Independent affronta in un lungo articolo le complicazioni legali e tecniche, nonché la domanda più difficile: cosa è esattamente un “ambiente sicuro”? I club stanno tentando di persuadere i giocatori che le condizioni sono “le più sicure possibili”, forse le più sicure di qualsiasi settore e sicuramente meno rischiose che andare al supermercato. L’Associazione calciatori inglesi ha già chiarito che nessuno è costretto a giocare. L’ha sottolineato anche Klopp.
“In circostanze normali un calciatore non può semplicemente rifiutarsi di allenarsi”, dice Joseph Lappin, partner dello studio legale Stewarts e capo del dipartimento per il lavoro. “Chiedere ai giocatori di tornare al lavoro e allenarsi, è lecito. Di solito, le società calcistiche possono smettere di pagare i calciatori che si rifiutano di allenarsi, ma questi sono tempi unici. Ritornare ad allenarsi quando la minaccia di contrarre la Covid-19 rimane molto reale, solleva importanti domande su salute e sicurezza. I calciatori possono ragionevolmente ritenere che un intenso allenamento, con un contatto fisico tra i giocatori, favorisca la diffusione di Covid-19″.
“Tutti i datori di lavoro, comprese le società calcistiche, hanno l’obbligo legale di fornire un posto di lavoro sicuro per il proprio personale. I calciatori che si rifiutano di tornare all’allenamento perché ritengono ragionevolmente che ciò comporterebbe un rischio grave e imminente per la loro salute e sicurezza, sono protetti dalla legge”.
“I giocatori hanno un notevole potere contrattuale, non sono come i normali lavoratori. Sono anche risorse, con un valore di trasferimento significativo”
“Se, come tutti speriamo, il tasso di infezione continuasse a scendere, sarà più difficile per i calciatori sostenere che allenarsi e giocare comporti un rischio serio e imminente per la salute e la sicurezza”, afferma Lappin.