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Pupi Avati: «Non ci sarà mai niente di più emozionante della piazza vuota di Papa Francesco»

Pupi Avati al CorSera: «Mi manca più essere abbracciato che poter abbracciare. Da vecchio, torni simile a come eri da bambino. Vorrei tornare a essere figlio, avere due genitori che mi portano fuori tenendomi per mano» 

Pupi Avati: «Non ci sarà mai niente di più emozionante della piazza vuota di Papa Francesco»

Pupi Avati (81 anni) racconta al Corriere della Sera come sta affrontando l’emergenza sanitaria da Covid-19. Vive con la moglie, che lo tiene in isolamento forzato.

«Lei mi vieta di uscire, continua a dirmi di lavarmi le mani, non la posso toccare, baciare, abbracciare».

E’ la cosa che gli manca di più.

«Viviamo in un appartamento grande senza sfiorarci. Per la prima volta, penso che mi manca più essere abbracciato che poter abbracciare. Forse erano cose che già facevamo poco, ma ora, anche se volessi, mi è vietato. Mi manca quella specie di bacio della buonanotte che ci davamo la sera. Da vecchio, torni simile a come eri da bambino e io ho grande nostalgia dell’infanzia. Vorrei tornare a essere figlio, avere due genitori che mi portano fuori tenendomi per mano».

Di loro si occupano i due figli che vivono a Roma, lasciano la spesa in ascensore. Il terzo figlio, che vive a Londra, è stato contagiato.

«Lui, la moglie, il figlio di 12. Solo quello di 11 non è stato contagiato. Per fortuna, dopo 18 giorni, stanno meglio e hanno ripreso una vita quasi normale».

Il regista dice di non avere paura della morte.

«Io ho una confidenza con la morte che non è delle generazioni educate all’immortalità e che mi è stata trasmessa dalla cultura contadina. La morte è qualcosa che ho sempre considerato nell’interlocuzione. A casa, ho una parete che chiamo “la via degli angeli” con almeno 150 deliziosi ritratti in cornici dorate e con tutte le persone della mia vita che se ne sono andate. Tutte le sere, vado a salutarle. Prego dicendo i loro nomi».

Racconta il silenzio di Roma, qualcosa che difficilmente potrà essere scordato.

«Vivo vicino a Piazza di Spagna da 50 anni e non ho mai sentito un silenzio così profondo e anche un po’ solenne, sacro, che ora mi fa venire in mente la piazza vuota di Papa Francesco. Oltre quella piazza, so che non ci sarà niente di più emozionante. Descriverla è impossibile, è una delle rare cose che vedi e per le quali non hai parole, perché sei sotto la dismisura della parte ineffabile della vita. Ogni sera, adesso, davanti ai miei morti, c’è quel silenzio, ma le preghiere non sono cambiate, è cambiato un po’ solo il mio modo di vivere».

Per passare le giornate si tiene impegnato, scrive un nuovo romanzo.

«Quando ti butti in qualcosa che ti prende, vai in un altrove che lenisce ogni brutto pensiero. A parte la pausa per il bollettino delle 18, scrivo tutto il giorno e metto in cantiere progetti, perché è come regalarmi futuro: lavoro al film sui genitori di Elisabetta e Vittorio Sgarbi le cui riprese dovevano partire il 23 marzo, lavoro al film su Dante Alighieri che voglio fare dal 2002… Mica mi faranno morire prima fare il film su Dante? E ho ripreso a studiare clarinetto».

Tra la pandemia e la guerra vissuta da bambino ci sono delle somiglianze, dice.

«Il senso di attesa è uguale. Anche allora la gente pensava tutto il giorno a quando tutto sarebbe finito, per mettersi a ricostruire. Infatti, appena arrivarono gli americani, eravamo tutti a ballare nei cortili. Sono sicuro che adesso quando verrà il contagio zero, sarà il giorno della liberazione e l’inizio della ricostruzione».

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