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«Io, medico, contagiata dal Covid. Appena guarita sono tornata in trincea. Questo fa un medico» 

Su L’Eco di Bergamo la storia di Linda Porretti, in forze all’ospedale di Treviglio: «Vedere i pazienti soli nel loro dolore, persi nel loro isolamento, dilania più della fatica e della preoccupazione del contagio» 

«Io, medico, contagiata dal Covid. Appena guarita sono tornata in trincea. Questo fa un medico» 

L’Eco di Bergamo racconta la storia di Linda Porretti, 35 anni, medico. Di stanza al reparto di Medicina dell’ospedale di Treviglio, si è beccata il coronavirus in servizio. Si è fatta la sua malattia a casa, in quarantena e, appena ha potuto, è tornata in ospedale. Per aiutare i colleghi stremati, racconta al quotidiano bergamasco. Perché questo fa un medico.

«Sin dai primi giorni della diffusione del virus in Italia, quando erano appena comparsi i primi malati nella zona di Lodi, come altri colleghi abbiamo tutti partecipato alla riorganizzazione dell’ospedale per accogliere i malati con sintomi Covid. È stata un’ondata improvvisa, non abbiamo fatto in tempo a organizzare i primi 12 letti dedicati che in pochi giorni tutto l’ospedale si è praticamente convertito, tranne l’area della Maternità, in Unità riservate ai contagiati da coronavirus».

In quei giorni, il contagio è toccato anche a lei.

«Ho cominciato a sentirmi stanca, senza forze. Inizialmente non ho pensato al contagio, credevo che fosse lo stress per la situazione eccezionale, ma sapevo anche dentro di me che quello che sentivo era una stanchezza strana. Poi è arrivata la febbre, prima solo qualche linea, poi elevata».

Poi il test e la positività.

«Non ho avuto il tempo di spaventarmi, era come se quasi me l’aspettassi. Poi, i giorni successivi, onestamente, allo spavento è subentrata la sofferenza fisica: è stato pesante e difficile, non avevo le capacità neppure di pensare alla paura».

Linda si è chiusa in casa col marito – anche lui medico – e il figlio di 13 mesi. Isolata in una stanza della casa. Ha dovuto rinunciare ad allattare e toccare il suo bambino, ha dovuto indossare sempre mascherina e guanti, evitare i contatti con il resto della famiglia. Poi i due tamponi negativi, la guarigione, il ritorno in corsia, subito.

«Quello che ho visto nei giorni prima di ammalarmi era qualcosa di decisamente complesso, e per noi medici davvero difficile da affrontare. Non parlo solo della fatica fisica, ma soprattutto delle problematiche cliniche e terapeutiche che ti si prospettano davanti a un’epidemia causata da un virus che non si conosce».

Linda pone il problema della questione emotiva.

«I pazienti vengono isolati e privati del conforto di ogni affetto, noi dobbiamo curarli ma vorremmo anche poterli aiutare dal punto di vista emozionale. Cerchiamo di trasmettere loro sempre una prospettiva di guarigione, ma non è cosa semplice. Quando poi cominci a vedere nei letti dei ricoverati persone che conosci, amici, parenti, l’impatto è pesantissimo. È questo che dilania noi medici e infermieri, più delle ore di superlavoro, più della preoccupazione del contagio. È vedere i pazienti soli nel loro dolore, saperli persi nel loro isolamento. E per questo non ho esitato a rimettermi il camice, appena sono guarita. Per dare una mano ai colleghi sfiniti, per dare loro il cambio in questa trincea di lavoro ed emozioni, e per sostenere i malati. Sono un medico, e questo fa un medico».

 

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