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Il dramma degli anziani, combattuti tra il desiderio di curarsi e quello di non morire soli in ospedale

La Stampa raccoglie la testimonianza di un operatore lombardo del 118. A lui si rivolgono in tanti, con i sintomi del virus, che vogliono restare a casa 

Il dramma degli anziani, combattuti tra il desiderio di curarsi e quello di non morire soli in ospedale

Su La Stampa il racconto straziante della nuova frontiera della paura, in tempi di Coronavirus. Quella di morire da soli, in ospedale, senza la vicinanza degli affetti, delle persone care.

Un dramma che racconta Paolo Baldini, infermiere lombardo soccorritore del 118. Ogni giorno, sui social, lascia testimonianza del dolore che incontra durante le sue ore di servizio.

Come la storia di Lucia, che ha vissuto lo strazio della morte del fratello 49 enne, in ospedale, solo e che, per questo motivo, dopo qualche giorno, quando è toccato alla madre, ha scelto di farla morire nel letto di casa. E’ a Paolo che ha chiesto consiglio.

“Dimmi se sto facendo la cosa giusta. Paolo, ti prego”.

Non ci sono più le persone che urlano e pretendono, come prima, racconta Paolo.

“Chi ci chiama si scusa, ringrazia, qualcuno piange. Ma c’è una consapevolezza, una rassegnazione e una dignità che mi resteranno impresse per tutta la vita”.

La settimana scorsa Paolo ha risposto alla chiamata di Anna, 75 anni. La sorella di 80 era a casa, a letto, dopo un ictus. Anna ha la febbre, ha capito di aver contratto il virus: deve accudire la sorella ma ha paura di infettarla. Paolo le spiega come fare per evitare il contagio, ma dopo qualche giorno Anna richiama, ora la febbre l’hanno sia lei che la sorella. Ma non vuole andare in ospedale perché non vuole che vengano separate.

“Mi ha supplicato al telefono e alla fine, con un collega della sala operativa, siamo riusciti ad ingegnarci per organizzare il trasporto di entrambe sulla stessa ambulanza e per lo stesso ospedale”.

E’ questa la paura più grande, adesso, quella di morire da soli, racconta. E allora la gente cerca di curarsi a casa, si munisce di saturimetro e di ossigeno con l’aiuto dei medici di famiglia.

“I familiari ormai sanno che le strutture sono al collasso, che è difficile trovare un posto libero. Che i casi più gravi rischiano di non arrivare in tempo in Terapia intensiva, dove ci sono anche persone più giovani. Sono tormentati dal pensiero che una madre, un padre muoia da solo. Siamo noi, ora, che dobbiamo convincerli ad andare in ospedale”.

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