Pioli: “In Italia non si capisce che più giocatori metti a disposizione dell’allenatore e più problemi crei”
Intervista alla Gazzetta dello Sport: "Non credo più ai ritiri, non sono aggreganti come un tempo. Capire la situazione individuale di un giocatore è l’aspetto più difficile del lavoro di tecnico"

La Gazzetta dello Sport ospita una lunga intervista al tecnico del Milan, Stefano Pioli.
Ibrahimovic è un regalo
Tra le altre cose parla anche del ritorno di Ibrahimovic in rossonero.
«Ibrahimovic è un giocatore insaziabile, ha carisma e non ha mai smesso di migliorarsi e di aggiornarsi. Porterà entusiasmo, esperienza e tanta voglia di fare. La proprietà e i dirigenti mi hanno fatto un grande regalo, adesso dobbiamo essere bravi a sfruttare Ibra nel modo giusto, non usarlo come scudo, come giustamente ha detto Boban».
Obiettivo: dominare la partita
Racconta che al suo arrivo al Milan ha trovato subito una grande disponibilità da parte dei giocatori e grande compattezza nell’ambiente. La squadra, dice, mostra i pro e i contro della sua giovane età. E spiega che tip di squadra desidera: una squadra propositiva, che miri a dominare la partita studiando le caratteristiche dell’avversario.
«L’obiettivo è dominare la partita. Credo molto nella lettura degli spazi. Dobbiamo essere bravi, nella nostra fase offensiva, ad avere una squadra che abbia ampiezza e, soprattutto, profondità. Io non voglio dominare la partita per sentirmi dire a fine partita che ho avuto più possesso palla, mi importa poco. I due dati importanti della partita sono le occasioni avute o subite e i tiri fatti o subiti. Serve una squadra concreta, capace di occupare con intelligenza gli spazi in campo. Io non divido un calciatore in destro, sinistro, alto, basso, io divido i calciatori in due categorie: intelligenti e meno intelligenti. Se hai a disposizione giocatori intelligenti è più facile giocare un certo tipo di calcio».
“Non credo più ai ritiri”
Pioli racconta di lavorare molto anche sulle regole, che considera fondamentali, e sui principi etici dei calciatori. E parla di quanto sono cambiati i tempi, anche per via dei social e dei telefoni, che rendono i calciatori più solitari di un tempo.
«Non è colpa dei giocatori. È cambiata la società, il modo di porsi nei confronti degli altri, il rapporto padri e figli. Per questo io non credo più ai ritiri. Una volta i ritiri erano veramente aggreganti, noi giocavamo a carte, a biliardo, a Risiko, si stava insieme, si condivideva tutto. Tante volte negli alberghi non avevamo neanche la televisione in camera o c’erano tre linee di telefono e tu aspettavi il tuo turno… Adesso i giocatori stanno ciascuno con la propria PlayStation, con il proprio computer, con il proprio iPad. Parlano poco tra loro. Per questo io cerco di far stare insieme più tempo possibile i giocatori, senza telefonini. Quando c’è pranzo, cena, quando ci sono riunioni, i cellulari non vanno usati. Ma vedo che anche loro, una volta abituati, scoprono che è un modo per conoscersi meglio. Capiscono che il mondo non può essere racchiuso in Twitter o Facebook. Devi conoscere il compagno, l’allenatore, capire i loro pregi e difetti. Questo lo fanno le parole. Lo fa la vita vera, non quella virtuale».
Servono giocatori che hanno già imparato a vincere
Spiega che in una squadra è importante avere giocatori che hanno imparato a vincere.
«Una squadra giovane non è così consapevole di cosa serva veramente per vincere. Vincono le squadre che hanno giocatori che invece hanno conosciuto e praticato la vittoria, l’hanno “imparata”. Per la squadra giovane può essere che arrivi più facilmente la paura di perdere».
E di parlare spesso ai suoi ragazzi, anche a tu per tu.
«Credo sia l’aspetto più importante del nostro lavoro. Ogni allenatore porta avanti le sue idee e la sua visione. Però credo che capire la situazione individuale di un giocatore sia l’aspetto più difficile del lavoro di tecnico. Io cerco di parlare tutti i giorni con tutti i miei giocatori. Il fatto di avere vissuto tanti spogliatoi anche da calciatore e avere ormai vent’anni di esperienza da allenatore credo che mi stia aiutando a capire quando è il momento di intervenire in modo duro, concreto o in modo più paterno. E credo che i giocatori ne abbiano bisogno, perché troppe volte ci si dimentica che sono dei ragazzi. Molti vorrebbero essere al loro posto, ma se loro sono qui vuol dire che se lo sono meritato, se lo sono conquistato. Ma comunque rimangono dei ragazzi di 20 o 22 anni con le loro fragilità. Noi guardandoli pensiamo solo al campo. Il campo è una parte importante ma poi c’è il resto: la vita privata, le amicizie. Tutto questo condiziona il loro umore e la testa».
Tra giochisti e risultatisti
La sua posizione, tra giochisti e risultatisti, è la seguente:
«Io credo sempre che giocare meglio dell’avversario ti dia più possibilità di vincere. Però per vincere non serve solo giocare bene. Servono altre componenti caratteriali che un allenatore non può tralasciare».
Il migliore allenatore del mondo secondo lui è Guardiola
«Mi piace il suo modo di fare calcio, mi piace il suo modo di porsi».
L’Italia non è un paese per giovani
Sul fatto che l’Italia non favorisce il debutto dei giovani dice:
«Nei campionati esteri ci sono delle rose molto più ristrette. Se hai venticinque giocatori di prima squadra diventa veramente difficile far esordire dei ragazzi. Io sarei per avere una rosa di ventidue giocatori, doppi ruoli e basta. Poi quando ti mancano degli elementi prendi i ragazzi della Primavera. Quello che secondo me in Italia si fa fatica a capire è che più giocatori metti a disposizione dell’allenatore e più problemi crei. Perché ci saranno sempre giocatori meno motivati. Più spendi quantitativamente e meno hai la possibilità di mettere in prima squadra dei ragazzi giovani».
Infine, sull’emotività del calcio italiano:
«In Italia ci facciamo condizionare troppo, siamo poco equilibrati nei giudizi e viviamo tutta la settimana che ci porta alla partita con troppa tensione. Questa è la grande differenza tra il calcio in Italia e fuori. Sono d’accordo con una dichiarazione che fece Sarri in Inghilterra: “In Italia ci facciamo la guerra durante la settimana per giocare la partita la domenica, in Inghilterra ci prepariamo durante la settimana per fare la guerra durante la partita”».