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Da due giorni non penso che a quell’abbraccio Insigne Ancelotti

E io qua sono alla centesima visione del video. Come un idiota. Mentre stasera altri ex tifosi del Napoli sono preoccupati per l’assenza di Cristiano Ronaldo a Lecce

Da due giorni non penso che a quell’abbraccio Insigne Ancelotti

La verità è che ci penso ininterrottamente. Sono trascorse 48 ore e io ci penso. Ne parlo con tutti. È il mio termometro per capire quanto il mio interlocutore sia tifoso. Anche perché ormai a Napoli un virus si è impossessato della fu tifoseria. I neotifosi della Juventus sono come i replicanti di Blade Runner (ma quelli erano i buoni, questi sono gli infami). Apparentemente sono rimasti come prima. Apparentemente. Poi, però, si tradiscono. E, soprattutto, quando il Napoli vince, fanno una faccia strana. Si ritirano nei loro carapaci. Spariscono. Tutt’al più parlano di gioco. Tu vinci 3-2 in trasferta, vai due volte in vantaggio, vieni raggiunto, poi segni il 3-2, Insigne corre e si rende protagonista di una delle più emozionanti scene del Calcio Napoli, e tu che fai? Parli di gioco. Di gioco poi, di quello che tu ritieni gioco. Vabbè ho capito. Un senso di nausea profonda mi pervade nel vederti – anche una sensazione alla Hannibal Lecter, alla Pasquale Barra – ma andiamo avanti. Ti immagino esultare a un gol della Juventus e penso che come punizione possa bastare. Dante manco all’inferno ti avrebbe fatto entrare, sei troppo sudicio.

Io ho vissuto la scena in diretta, alla Red Bull Arena ma non basta. Non mi basta. Non mi basta mai. Ho registrato la partita e l’ho ripresa. E colgo l’occasione per esprimere solidarietà ai telespettatori cui – da un regista di quelli contemporanei, che odiano il calcio – è stata negata l’azione che ha portato al 3-2. A stento sono riusciti a vedere il tiro di Lorenzo.

In quel momento, dopo aver segnato il gol, Lorenzo ha un’autostrada davanti a sé. Avrebbe potuto cercare una telecamera e pronunciare la frase più educata possibile. Chessò: “Mi aveva messo in panchina”, oppure: “Ci volevo io”. Subito dopo aver segnato, la scena è strana. Lorenzo fa il cuore ai tifosi, poi comincia a correre. Al centro dell’area c’è Callejon che lo guarda e cammina. Pure Mertens, che gli ha servito l’assist, cammina. Lui, invece, ha una reazione da torneo scolastico. Perché quelle esultanze lì si vedono solo nei tornei scolastici, nei tornei estivi. Quando si esprime uno stato d’animo che non si può descrivere. Gioia pura. In quel momento, non pensi a nient’altro e non vorresti stare in nessun altro posto al mondo.

Lorenzo sa benissimo cosa fare. Ed è questo che commuove. Insigne punta la panchina, vuole andare da lui. In un momento si scioglie la prosopopea o la presunta prosopopea del capitano del Napoli. Quello che sbuffa, che si sente sminuito. Quello che, diciamolo, il Napoli ha sbagliato a non vendere quest’estate. E io sono tra quelli. Lo avrei venduto. Ma a Salisburgo mi ha commosso. Come non mi commuovevo da tempo.

È andato a cercare Ancelotti. Mentre tutta la panchina si riversava in campo. Lui accelera, cerca il padre. Abbozza due saltini alla Falcao dopo il pareggio all’Italia nel 1982. Insigne non vuole semplicemente esultare. Insigne vuole abbracciare Ancelotti. Gli mette le mani sulle spalle e poi gli scuote la testa. Alla Gattuso, dice Lucio Pengue. Sì, alla Gattuso.

Non avevo mai visto Insigne così. L’ho amato. Improvvisamente. Io che non ho mai avuto chissà quale trasporto per lui. Pur reputandolo un giocatore forte, ma in fondo sempre deludente. E poi quella supplica negli occhi, per dirla alla Mogol, che lui non ne voleva sapere di cancellare. Ho scritto non ne voleva, non ho scritto non ne vuole.

Ma in quel momento, nel momento del gol, Insigne fa la sua scelta. E fa una scelta da capitano. Una scelta di costruzione. Ancelotti è lì che lo aspetta, lo subisce, gli dice: “Te l’ho detto”, “Te l’ho detto”. Poi arrivano gli altri. Koulibaly, Di Lorenzo, Malcuit, Nista. La squadra tutta, come se non aspettassero altro. Qualcuno, forse, continua a camminare. Ma non è importante. Ancelotti sa bene che la partita non è finita. Sa che un minuto prima Koulibaly si è fatto beffare da un cross al centro dell’area e abbiamo subito il 2-2. Dopo due secondi, abbandona l’esultanza. Torna allenatore. Si rivolge al candidato al Pallone d’oro. Gli dice qualcosa. Dà indicazioni, perché sennò che padre sarebbe. Mentre Malcuit lo stringe in una morsa. Impossibile non amarlo.

Ma il momento clou deve ancora arrivare. Il montone si scioglie, del resto vanno giocati ancora circa quindici minuti. Ma Insigne quel braccio destro dal collo di Ancelotti non l’ha mai tolto. Quando gli amici se ne vanno (cit.). lui resta solo col padre e se lo abbraccia di nuovo. Vuole ribadirgli il concetto: se non si fosse capito, sono venuto qua per te. E dopo, nelle interviste post-partita, gli chiede pubblicamente scusa.

E io qua sono alla centesima visione del video. Come un idiota. Mentre stasera altri ex tifosi del Napoli sono preoccupati per l’assenza di Cristiano Ronaldo a Lecce.

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