Il commento sul Corriere della Sera che ripercorre il cambiamento dal maschilismo del calcio fino ai mondiali femminili di quest’anno
Il commento di Massimo Gramellini sul Corriere della Sera riguarda la partita vinta ieri contro la Cina dalla nazionale di calio femminile italiana.
Mentre saltavo sul divano dopo il gol di Aurora Galli alle cinesi, ho intuito che dentro di me stava cadendo l’ultimo fortilizio del maschio italico.
Gramellini ricorda come, una volta, il calcio, il tifo si tramandavano con un rito di iniziazione patriarcale.
Lo si incontrava per la prima volta nel cortile della scuola, facendo a botte con i compagni dietro una palla sgonfia, e poi allo stadio, dove si entrava come in un tempio, trattenendo il respiro aggrappati alla manona di papà.
Le donne non erano previste in tutto ciò, un universo completamento maschile, dominato e fatto di uomini. Anche quando successivamente le donne si sono avvicinaste al mondo del calcio, sono sempre rimaste marginali, relegate al ruolo di attori secondari o meglio spettatori
Loro potevano tifare, persino acquisire competenze su schemi e congiure arbitrali, ma sempre all’interno di un meccanismo che restava tale solo se i suoi protagonisti erano uomini.
Le donne nello sport si fermavano però alla vita, tutto ok finché si trattava di tenniste o pallavoliste, ma le calciatrici no.
La chiave di svolta è stata semplice secondo Gramellini, è bastato che i maschi venissero meno (la Nazionale non arrivata a disputare i Mondiali l’anno scorso e gli Under 21 che hanno deluso quest’anno)
Dovevano apparire queste ragazze toste e gentili. Capaci di vincere all’italiana, cioè in contropiede, per la gioia postuma di quel Gianni Brera che definì l’Italia «squadra femmina» e mai avrebbe immaginato di avere così ragione.
