Lo stupro della giovane donna a San Giorgio a Cremano. Nelle reazioni dei politici, lei è scomparsa. Come la parola. Resta quel freddo verbale
Freddi, asettici, come un verbale dei carabinieri
Giova essere asettici. Di fronte all’orrore. “La giovane sfuggiva agli aggressori per riparare nella vicina Piazza Massimo Troisi”. Essenziali, freddi, asettici, come in un verbale dei carabinieri. Non c’è altra scelta, nessuna alternativa all’ennesima reificazione, delle storie, delle vite, di ciò che siamo. E d’altra parte, non è all’articolo di un giornale ma al più alla letteratura che si può delegare il far fronte al nodo della violenza sessuale, intrecciando le differenze di classe sociale o di razza se sussistenti, scandagliando la perdita di dignità ed onore, penetrando la irreversibile trasformazione dell’identità. Senza trarne però conclusioni, che è roba per la lotta politica. Dando voce perfino, ma solo se si è particolarmente dotati, mettiamo un D. F. Wallace, al più schifoso degli esseri umani (Intervista n.46, in “Brevi interviste ad uomini schifosi”. Leggetela. Con calma. Poi rifiatate e rifletteteci. Anche qualche ora, qualche giorno, se del caso).
L’immedesimazione nei sentimenti, nella paura, nella nausea e nella vergogna della vittima, per chi legge l’accaduto nella forma di verbale, è possibile solo per le donne, ma è forse indicibile. Gli uomini possono esprimere altro.
“La giovane sfuggiva agli aggressori per riparare nella vicina Piazza Massimo Troisi”.
Già, Troisi. Qualche anno fa Alessandro Chetta sul CorMez dedicò un bel reportage, alla Ugo Gregoretti, alla memoria di Troisi, a cosa evocasse il suo nome, oggi, a san Giorgio a Cremano, specie tra i giovanissimi, traendone alquanto deprimenti conclusioni: del grande attore resta al più un ricordo sfuocato. Con Troisi se ne è andata un po’ dell’ironia di questo mondo, tanta delicatezza e uno sguardo particolare, cinico e pieno di pietas insieme.
Faccio una panoramica mentale sul suo cinema e non vi trovo, neppure nella pellicola ambientata durante il fascismo, scene di particolare violenza, però in Massimo abbiamo avuto, noi giovani partenopei cresciuti negli anni ’80, la nostra educazione sentimentale; sì, è stato il nostro Roland Barthes.
Nelle reazioni la ragazza, la vittima, è sparita
Ma leggo ora, a distanza di un giorno, i nostri politici, e anche i giornalisti di grido e gli intellettuali: la ragazza è sparita del tutto. In un gorgo in Piazza Troisi, evidentemente. Salvini chiede galera dura per i tre giovani accusati dello stupro: intercetta il linguaggio del nostro tempo, come correttamente aveva dichiarato Venditti qualche ora prima (apriti cielo!). Lerner accusa Salvini di dedicarsi solo alle violenze commesse da immigrati. Altri, restano intrappolati nella foga di affermare le loro idee o mezze idee, politicamente corrette o scorrette che siano. Nessuna traccia della giovane. L’illuminato e valente manager della Circumvesuviana, Umberto De Gregorio, afferma che “doveva scegliere meglio le amicizie”: c’è un eccesso di realismo, un che di brutale, di sgradevole, ma anche un fondo di verità. Altrove si riferisce di quanto accade in quelle stazioni e si mette quasi sullo stesso piano qualsiasi illegalità, la violenza subita dalla giovane col furto di rame di un rumeno in stazione avvenuto poco prima. Qui la ragazza c’è, non v’è dubbio, ma è degradata a rame.
La politica non è bella né, forse, la bellezza salverà il mondo, almeno sotto forma di letteratura e cinema, tanto meno di murales e piazze intitolate ai grandi che abbiamo amato; i nostri giovani, oggi come ieri, non saranno mai al riparo, una volta fuori dall’uscio di casa. Il rischio è connesso con la gioventù stessa, peggio sarebbe il contrario, un’esistenza al riparo dal pericolo e dalla stessa morte, come spiegava James Hillman a Silvia Ronchey un po’ di anni fa. Ciò che manca oggi è la comunità, è lo sguardo vigile degli adulti, anche degli “estranei”. Vabbè, rischio l’accusa di passatismo: ieri quello sguardo, quella protezione c’erano, insieme ad altro di bestiale, disumano, anzi, forse no, umanissimo.
Ci manca la parola
Quante volte siamo stati salvati dalle grinfie del bullo di turno o anche dal “bruto” (ce ne erano, a iosa, anche allora; oggi si dice esplicitamente “pedofilo”) per l’intervento del bottegaio, di un semplice passante? Non dobbiamo mitizzare troppo, è vero, ma all’epoca c’erano le città, i quartieri, i confini; il limite, la misura, la distinzione, anche tra i concetti, ad esempio quella invocata qualche tempo fa dall’attrice Monica Bellucci tra molestie e avance, senza la quale non mi sembra abbiamo fatto passi in avanti. Un tempo c’era anche l’Ave Maria, che recitavamo la domenica in chiesa senza capirci molto: forse quella preghiera aiuterebbe, se si avesse la capacità di tornare a riflettere sulle parole. Già, le parole, un’altra cosa che latita, evidentemente. Non ne comprendiamo più il senso. Le usiamo a sproposito (il rame, lo stupro). Ci restano in gola, di certo, di fronte all’orrore subito da questa ragazza che potrebbe essere nostra figlia.
La parola. Ci manca. Sarà sparita anch’essa in un gorgo in Piazza Massimo Troisi.