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Ancelotti smonta anche l’alibi morale del divertimento

«A vedere le partite non ci si diverte», dice in tv. Il calcio richiede impegni e prese di coscienze. È uomo di pallone e di cavalli. Il suo calcio è roba seria

Ancelotti smonta anche l’alibi morale del divertimento

“Lei si è divertito?” “No. A vedere le partite non ci si diverte”

La domanda del giornalista ad Ancelotti è figlia dell’ansia da divertimento che pervade la scena nazionale, non solo sportiva, legandola ad una sorta di nuova dipendenza. Ci si deve divertire. Solo che divertire, in latino, significa andare altrove con la testa, deviare il proprio corso in modo caotico, insomma il contrario di lavorare, di disegnare una strategia d’azione, di studiare un rischio e un modo per mitigarlo.

A Napoli ci sono quelli che vincono, sì, ma non si divertono. È l’alibi morale che più va di moda ultimamente per sottrarsi a una responsabilità. Perché anche il gioco – che non è, appunto, divertimento, ma una sofisticata mappa dei meccanismi dell’anima – richiede impegni e prese di coscienza. Il divertimento che latita, che manca, che non c’è più, è la scusa prêt-à-porter per chi rifiuta che possa esserci una seria possibilità di farcela con ciò che c’è. Al costo, però, di riconoscere che possa esserci della inadeguatezza in noi (forse non siamo poi così esperti di calcio? Forse non siamo degli indefessi professionisti?). Se la rosa basta, se gli investimenti ci sono, se il modulo muta e ripaga, allora c’è modo di conquistare un trofeo senza interventi divini. Se questo è possibile, ci ritroviamo tutti fuori al Teatro Tenda dove si tiene il Primo Festival Nuova Napoli e lì si corre il rischio concreto che (il) Napoli possa cambiare. E possa rimanere io, fermo, con un palmo di naso, con le certezze e i finti impedimenti che mi ero costruito un po’ ad arte per giustificare i miei fallimenti – e il desiderio di indossare la maglia di Krol per assassinare gli artisti nuovi e rinchiudermi poi in un sottoscala.

Uomo di calcio e di cavalli

L’affare quest’anno è complesso. Perché il signor Ancelotti non ha nessuna aria professorale, manca di qualunque aura altezzosa. Non è tacciabile di appartenere alla aristocrazia vomerese. Non è mandato dalla Troika. Ancelotti bacia con trasporto i suoi giocatori a fine partita mentre altri suoi colleghi si puliscono le mani che hanno appena stretto quelle sudaticce dei propri calciatori sostituiti. E come se non bastasse qualche giorno fa tira fuori settantacinquemila euro e si compra un cavallo purosangue, Black Mirror, a dimostrazione – ove mai ce ne fosse bisogno – che se esiste chi sa cosa sia il divertimento è di sicuro il Signor Carlo Ancelotti. Uomo di calcio e di cavalli, nella migliore tradizione italiana, quella che va da Beppe Viola a Mandrake.

Carlo Ancelotti non ci farà dormire. Perché è un muro di gomma col cervello fine di una volpe e lo sguardo del lupo. È venuto – mettetevelo in testa – perché sa riconoscere tra molte una squadra di uomini promettenti; e dei famosi top player tutto sommato non sa che farsene. Questo è un signore che si compra un cavallo il venerdì e la domenica schiera Luperto e Rog e vince a Torino con Insigne attaccante.

Rassegnatevi. Abbandonatevi al divertimento vero. Il calcio, quello di Mr Carlo, è roba seria.

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