Sono Napoli alternative. La prima si iscrive nella tradizione (neo)melodica. La seconda riprende il percorso di chi, a partire dalla tradizione, ha provato a sperimentare ed innovare
L’annosa diatriba se esista una o più Napoli
Non voglio entrare nella annosa diatriba che tanto appassiona i napoletani da sempre, se esista una Napoli oppure vi siano due città che non si parlano o, ancora, se sia una realtà caleidoscopica che rende impossibile la reductio ad unum. Quello che è certo è che, qualunque sia la realtà, si possono scegliere modi diversi di raccontarla. Si possono scegliere ispirazioni diverse, punti di vista opposti. Pensiamo a Saviano e Elena Ferrante, per esempio. Pensiamo a Troisi e Siani, a Eduardo e Salemme, a Pino Daniele e Nino D’Angelo.
Napoli è anche assente in Liberato
I Nu Guinea, uno sguardo che non cede all’oleografia
Di tutt’altro stampo il lavoro dei Nu Guinea, duo napoletano (ma esule a Berlino) composto da Lucio Aquilina e Massimo Di Lena. L’album uscito da qualche mese, intitolato Nuova Napoli (una citazione dal film “No grazie, il caffè mi rende nervoso”: era il nome del Festival che Lello Arena/Funiculì Funiculà cercava di impedire a tutti i costi perché “Napoli nun ha da cagnà”), è il risultato di un’attenta e laboriosa ricerca nella musica partenopea degli anni ’70 e ’80.
I 7 pezzi che compongono l’album rielaborano (anche grazie alla partecipazione di musicisti di varia provenienza, alcuni dei quali selezionati sui gruppi facebook di Berlino) i suoni e le atmosfere di una vasta gamma di artisti che, partendo da Napoli, hanno lasciato il segno nel panorama nazionale e internazionale. Impossibile non ascoltarli senza che riaffiorino alla mente le note dei Napoli Centrale, degli Osanna, dei Città Frontale e naturalmente di Pino Daniele, Alan Sorrenti, Tullio De Piscopo e Tony Esposito. Il lavoro di archeologia musicale ha trovato anche uno sbocco tutto suo, visto che il duo ha selezionato una serie di brani per la compilation “Napoli Segreta“, in uscita per la Early Sounds tra qualche giorno, nella quale compaiono vere e proprio chicche oramai dimenticate.
Per i testi i Nu Guinea hanno fatto una scelta minimal. La prima traccia è strumentale, la seconda mette in musica una poesia di Eduardo; dei rimanenti 5 pezzi, solo due (Ddoje facce e Pareva ajere) hanno un vero e proprio testo, gli altri si limitano a ripetere un paio di frasi.
Poche parole, dunque, ma non irrilevanti, nelle quali si incrociano nostalgia e consapevolezza e dalle quali emergono le contraddizioni della città. Uno sguardo non originale, ma sicuramente sincero, che non cede alla tentazione oleografica e, soprattutto, alla rassegnazione.
Sono Napoli alternative, non complementari
La Napoli di Liberato e quella dei Nu Guinea, più che complementari, sono, a mio avviso, alternative. La prima si iscrive nella tradizione (neo)melodica, come ha sottolineato Nino D’Angelo, la seconda riprende il percorso di chi, a partire dalla tradizione, ha provato a sperimentare ed innovare. Liberato parla d’amore e di adolescenti, il tema più caro alla musica italiana (non a caso Assante lo paragona a Baglioni e Gigi D’Alessio), i Nu Guinea, che da anni vivono a Berlino, parlano di Napoli e, in particolare, di quella Napoli che può ancora provare a cambiare. Liberato di Napoli usa solo il dialetto e la Gaiola, mostra il bello e nasconde le mostruosità; i Nu Guinea non hanno paura di sporcarsi con il fango. Liberato astrae; i Nu Guinea contaminano.
La scelta di Liberato liscia il pelo alla Napoli delle fiction e dei gialli approssimativi, quella che si compiace e, facendolo, nega una parte di sé stessa. I Nu Guinea ci ricordano, invece, che siamo neri a metà (quando non completamente, come James Senese) e che abbiamo almeno ddoje facce,