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Polito: «Il vittimismo di Sarri anestetizza, aiuta a mettersi l’animo in pace e a non vincere»

Sul Corriere del Mezzogiorno: «Ha inventato la favola che la bellezza conti più della vittoria. Benvenuto ad Ancelotti e al suo cosmopolitismo»

Polito: «Il vittimismo di Sarri anestetizza, aiuta a mettersi l’animo in pace e a non vincere»

«Ancelotti è un’occasione d’oro per la città»

Antonio Polito, sul Corriere del Mezzogiorno, dà il benvenuto ad Ancelotti; definisce il suo arrivo “un’occasione d’oro per far fare alla città, oltre che alla squadra, un salto di qualità. Il grande valore aggiunto che porta è il suo cosmopolitismo”. Aggiunge:

Napoli è tutto tranne che provinciale, e nel suo tessuto sociale e culturale pullula di persone e gruppi che vivono quotidianamente in connessione con il mondo, primo tra tutti proprio quell’Aurelio De Laurentiis che ha preso una società di calcio fallita e l’ha portata tra i primi 18 club d’Europa. Però è inutile nascondersi che sotto pelle vi circolino molte pulsioni provinciali. Una di queste è il vittimismo, la tentazione fatale di spiegare tutti gli insuccessi con i torti subiti, oggi o due secoli fa poco importa.

Sarri come de Magistris

Polito continua: “Il vittimismo è pericoloso perché anestetizza. Aiuta a mettersi l’animo in pace e a disimparare a vincere. In molti campi della vita cittadina questo accade, così che i successi dei singoli raramente diventano successi di squadra, e la città sta messa peggio di come potrebbe e meriterebbe”. Cita de Magistris come esempio di fautore del vittimismo, e cita anche Maurizio Sarri.

Lui, come tanti napoletani, ha costantemente flirtato con la retorica del dualismo popolo/ élite, attribuendo a se stesso e alla sua squadra il ruolo di Davide contro i Golia del pallone, l’uomo in tuta contro i damerini di sartoria, il genio fumante che soccombe solo ai fatturati, il Masaniello che si erge contro i torti subiti (come ha ben scritto Monica Scozzafava su questo giornale. Sarri non ha mai comunicato alla squadra e alla città la sensazione di «dover» vincere, qualsiasi fossero le circostanze esterne, preferendo invece diffondere l’idea di «meritare» di vincere; ha costruito così l’ennesima favola per cui la bellezza vale più del successo, corteggiando alla perfezione un sentimento molto presente nella nostra città, orgogliosa giustamente di sentirsi diversa, purtroppo anche quando la sua diversità è causa di sconfitta.

De Laurentiis ha dato prova di voler vincere

Polito si è poi soffermato sull’importanza del successo: “Credo che il successo sia invece qualcosa di diverso. Innanzitutto deve essere un obbligo, non un optional. De Laurentiis ha dato prova, con la scelta di Ancelotti, di pensarla in questo modo: un allenatore così «deve» vincere qualcosa, magari anche una Coppa Italia, senza alibi, perché vincere abitua a vincere. In secondo luogo il genio personale è tale solo se scende a patti con la realtà, e dunque non può peccare di ideologia, ma deve dimostrarsi creativamente pragmatico”.

L’understatement padano di Ancelotti

E infine su Ancelotti: “ha saputo sempre adattare i moduli ai giocatori, anche quando lo schema ad albero di Natale sembrava strano o Pirlo reinventato mediano davanti alla difesa una bestemmia. Il suo cosmopolitismo è testimoniato dalla facilità con cui sa adeguarsi ad habitat mentali e culturali diversi, vincendo in Italia, Germania, Francia, Spagna e Inghilterra, mostrandosi sempre a suo agio e parlando quattro lingue. Il suo understatement padano (sì, padano, c’è qualcosa di buono anche negli altri) è sempre stato capace di relativizzare e sdrammatizzare l’importanza del gioco, abbassando pressioni e tensioni, qualità che gli saranno massimamente utili a Napoli”.

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