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Pavoletti, tu chiamalo se vuoi “attaccante di categoria” tanto lui segna lo stesso

Pavoletti, tu chiamalo se vuoi “attaccante di categoria” tanto lui segna lo stesso

Immaginare anche solo una frase in cui si possano incontrare Pavoletti e Higuain è, per dirla alla Maurizio Sarri, una bestemmia. Eppure a Genova a rompere gli indugi ci ha pensato Gian Piero Gasperini. Secco, laconico: «Pavoletti segna come Higuain».

Gli amanti dei numeri e delle statistiche possono affermare che il tecnico genoano ha esagerato ma non troppo: il Pipita, 20 gol in altrettante gare di campionato, segna un gol ogni 85 minuti; Pavoletti, forte delle sue 10 segnature in 13 partite, risponde con un dato appena meno “disumano”, un gol ogni 94 minuti. Gira che ti rigira, anche Pavoletti segna un gol a partita. E ha praticamente portato il Genoa fuori dalla zona pericolo. Ovviamente sono due calciatori diversi, e non solo per tipologia di movimenti: sarebbe meglio dire che Pavoletti sta al Genoa come Higuain sta al Napoli. È onesto, realistico, anche se forse meno romantico da scrivere e da leggere. 

Leonardo Pavoletti è un po’ la classica storia dell’uno su mille, del calciatore sconosciuto che si inventa grande all’improvviso. Pensandoci bene, questa è la stagione delle grandi, inattese rivelazioni: una storia simile arriva dalla ricchissima Premier League inglese, dove solo il fenomeno Lukaku, 22enne centravanti belga dell’Everton, tiene il passo, in classifica marcatori, di Jamie Vardy. Uno che, nel luglio del 2011, neanche cinque anni fa, firmava il contratto che lo trasferiva dall’Halifax al Fleetwood Town, squadra della Conference Premier, quinto livello del campionato inglese. Praticamente, il campionato paritetico alla nostra Eccellenza. Il percorso di Pavoletti è meno netto e clamoroso, più lungo e anche più frastagliato. Leonardo, livornese, inizia nelle giovanili dell’Armando Picchi, squadra cittadina fondata all’indomani della morte dell’ex libero della Grande Inter. La trafila giovanile finisce nel 2006, l’anno dell’esordio in prima squadra, in Serie D. Stefano Brondi, tecnico dell’epoca, ha rilasciato queste dichiarazioni al Secolo XIX: «Aveva 16 anni, giocava negli Allievi. E io lo misi titolare tra i “grandi”, giocava al posto di ragazzi molto più esperti di lui. Ma era già forte, quello che ha glielo hanno dato suo papà e Gesù Cristo». Stefano Brondi è livornese, quindi conosce bene i difetti di Pavoletti. Forse sono anche i suoi: «Noi livornesi si è così, un po’ superficiali. È come una mosca che ti gira nella testa».

Quando il racconto si sposta sull’apprendistato nelle serie inferiori, la geografia c’entra poco. La questione è un’altra: «Di gavetta ne ha fatto parecchia ma quando ha giocato con continuità ha fatto tantissimi gol. A Lanciano, a Varese, adesso al Genoa. E può crescere ancora tanto, se continuerà ad avere fame non ha limiti». La fame di Pavoletti dura un bel po’: lasciata casa e preso l’ascensore-Lega Pro, cambia cinque squadre in quattro stagioni tra il 2008 e il 2012. Passa pure per la Campania, per la Juve Stabia, ma è una comparsata da sette presenze e zero gol. Le altre stazioni sono Viareggio, Pavia, Casale Monferrato e, finalmente, Lanciano. Qui cambia tutto, finalmente: 36 presenze e 17 gol tra regular season e playoff di Lega Pro Prima Divisione, il nuovo (brutto) nome della Serie C1. Il mondo si accorge di Leonardo Pavoletti, 24enne attaccante che diventa “di categoria”.

Diventare “attaccante di categoria” è un lavoro step-by-step che però tende a finire subito perché poi qualcuno della categoria superiore ti cerca. Per Pavoletti l’occasione si chiama Sassuolo. Alle porte di Modena non è una stagione come le altre ma “la” stagione. La prima con Di Francesco in panchina, quella della promozione diretta dopo un campionato dominato con merito. Pavoletti gioca a singhiozzo, 33 presenze ma solo 21 da titolare, con 11 gol. C’è anche una squalifica per doping, quell’anno, ma è solo ingenuità: Pavoletti fa abuso di un decongestionante nasale. In una recente intervista, Leonardo racconta così la sua avventura in neroverde: «Anni belli, ma giocavo poco».

C’è una nuova occasione per diventare “attacante di categoria”, intanto. Sì, perché il Sassuolo è salito in Serie A, e prima di far fare questo salto a Pavoletti ci pensa un po’ su. Mentre ci pensa ti fa esordire in massima serie, due partite da subentrato, intanto si accorda col Varese per un prestito annuale in Serie B. Pavoletti non lo sa ma è la miglior cosa che gli potesse capitare: 24 gol totali in 38 presenze. La testimonianza di quella stagione su Youtube si chiama “Pavoletti finishing”, traducibile come “Pavoletti finalizza”. Non c’è bisogno di aggiungere altro. 

Il resto è cronaca, roba recente. L’ultima stagione è divisa a metà, Sassuolo prima e poi il Genoa. Entrambe le esperienze nascono tra silenzio, diffidenza, senza grande clamore. Di Francesco ha un tridente che funziona, Zaza-Berardi-Sansone. Pavoletti ha giusto il tempo di entrare dalla panchina, nove volte in tutto, e di mettere dentro il primo gol in Serie A. Succede a Palermo, ma è roba isolata. Sassuolo non può essere il luogo per diventare “attaccante di categoria” pure in Serie A. A gennaio si fa vivo il Genoa, perché il giocattolaio Preziosi ama trattare il Genoa come i prodotti della sua azienda: smonta, ridisegna, rimonta. A gennaio arrivano, insieme, Niang, Borriello e Pavoletti per sostituire Matri e Pinilla. Logico che il nostro parta terzo nelle gerarchie, ci mancherebbe. Il 15 aprile, giorno di Genoa-Parma 2-0, cambia tutto. Pavoletti entra e segna, poi gioca titolare col Cesena e segna di nuovo, poi di nuovo da subentrato col Torino e ancora gol. A fine stagione, 10 partite e 6 gol.

Eccoci a oggi, all’incredibile score della stagione in corso, alla media gol da capogiro e ai sorrisi rossoblù.
Ai paragoni scomodi che però nascono guardando il suo modo di giocare, e, soprattutto, di segnare. Della differenza con Higuain abbiamo già detto: più che a una riedizione del Pipita, Pavoletti si avvicina a un altro concetto di centravanti, più à la Lewandowski. Lo pensiamo e lo scriviamo con ancora negli occhi lo splendido gol in semirovesciata di ieri, quindi ancor più suggestionati. Fatte le dovute proporzioni, i due calciatori hanno movenze e skills simili: capacità di giocare spalle alla porta anche da fermi, di far salire la squadra come di indovinare conclusioni difficili anche in condizioni di equilibrio precario e a grossa distanza dalla porta. Emblematico in questo senso il gol realizzato l’anno scorso contro l’Inter, una splendida girata di destro dopo il primo tocco ad alzarsi il pallone. Per quella rete, Repubblica ha scomodato addirittura un paragone con Marco Van Basten. Controllo, tiro, coordinazione, ma anche grosse doti fisiche. Per informazioni chiedere a un difensore come Kamil Glik, uno che non passa certo inosservato: in Genoa-Torino dello scorso anno, il livornese è riuscito a segnare dopo aver resistito a un duello di sportellate con il polacco. Una cosa non da poco, indubbiamente, che sottoscrive la completezza di un centravanti che merita assolutamente una maglia da titolare in Serie A.  
 
Oggi, Pavoletti è “attaccante di categoria”, finalmente in Serie A. Solo che, si sa, questo mestiere è step-by-step ma finisce subito. La categoria superiore è quella dei top club e addirittura della Nazionale, con il ct Conte che, si sussurra, sembra essere spettatore interessato all’evoluzione di Leonardo Pavoletti. Uno che sarà pure livornese e quindi superficiale, ma che oggi sta bene dove sta. Pure, se non soprattutto, tra i grandi.

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