L’architetto Nicola Rizzoli di Mirandola, il paese modenese di don Zeno, arbitro di calcio da otto anni con 247 partite dirette (197 in serie A), ha preso l’insufficienza su tutti i media per l’arbitraggio di Roma-Napoli a causa della mancata espulsione del romanista De Rossi e la valutazione di innocenza sul braccio in area di rigore del difensore giallorosso Manolas.
Quisquilie, direbbe Totò. Altro che cinque in pagella. Nicola Rizzoli merita uno zero spaccato per il match dell’Olimpico.
I valori etici dovrebbero essere alla base di chi fa il giudice e l’arbitro è un giudice. Il suo “sguardo” non si ferma alla partita. Contempla, deve contemplare tutto lo stadio dove opera per opporsi ad ogni violenza, dal campo agli spalti.
Nicola Rizzoli è considerato il miglior arbitro italiano con il più alto provento dalle direzioni arbitrali. La direzione di una partita di serie A vale 3.800 euro, una partita internazionale ne vale 4.800. Giusto che il miglior arbitro italiano guadagni più di tutti.
Gli errori arbitrali fanno parte del gioco, ci mancherebbe. Ma ci sono errori arbitrali memorabili che hanno falsato le partite. Neanche Rizzoli, il miglior fischietto italiano, ne è esente. Soprattutto quando, per sua sfortuna, viene designato giudice di porta. Un disastro.
A Catania (2012), nel ruolo secondario oltre la linea di fondo, consiglia all’arbitro Gervasoni di annullare un gol regolarissimo del catanese Bergessio e la Juve vince casualmente per 1-0.
In Udinese-Juventus segnala all’arbitro Valeri un rigore su Giovinco con espulsione del portiere friulano Brkic. La Juve dilaga.
Dirige Juventus-Torino nell’occasione in cui sorvola su un placcaggio di Pirlo su El Kaddouri negando il rigore alla squadra granata. Vince la Juve, ma solo per combinazione.
Rizzoli danneggia anche la Juve, ci mancherebbe. Altrimenti non sarebbe il miglior arbitro italiano. In Genoa-Juventus (0-0) ignora un fallo di rigore su Matri e annulla un gol regolare di Pepe.
Nicola Rizzoli è anche il memorabile protagonista, come giudice di porta, della Supercoppa italiana a Pechino fra Juventus e Napoli quando convince l’arbitro Mazzoleni ad assegnare un rigore alla Juventus per un discutibile fallo del Napoli su Vucinic. Il seguito è noto.
Gli errori ci stanno. Ma spesso Rizzoli, che ha tanto d’occhi per vedere, perde improvvisamente la vista. Come sabato santo a Roma quando non vede uno striscione infame di oltre trenta metri contro la madre di Ciro Esposito.
Se gli errori tecnici sono inevitabili, la mancanza di etica in un arbitro è intollerabile. Di fronte a quello striscione (e ce n’era un secondo), un arbitro di saldi valori morali ne avrebbe ordinato la rimozione sospendendo la partita.
Rizzoli ha fatto finta di non vedere. Ne scriverà nel suo rapporto, bel coraggio! In campo ha avuto paura che un suo ordine di rimozione avrebbe provocato “il peggio”.
È la classica vigliaccheria all’italiana. Ma è anche l’ordine superiore non scritto del sistema che impone di andare avanti, chiudere gli occhi, far finta di niente. Il sistema calcio Italia fa il duro se viene offeso direttamente, se c’è la lesa maestà dei suoi dirigenti. Accadeva implacabilmente per gli striscioni del San Paolo contro Carraro, il presidente federale dell’intransigente fermezza sul fallimento del Napoli. Multe e minacce di squalifica del campo. Per Carraro, uno degli uomini più chiacchierati non solo dello sport italiano!
Forse, e senza forse, a Roma ci sarebbe voluto un atto di coraggio del Napoli. Rifiutarsi di giocare la partita, con tutte le conseguenze disciplinari (perdita del match, penalizzazione in classifica, multa a via dicendo). Se il Napoli l’avesse fatto, sarebbe stato un gesto memorabile di solidarietà alla madre di Ciro e di contrasto a ogni tipo di violenza dagli spalti cui va incontro proprio il Napoli in ogni stadio italiano ancora più da quando la derubricazione del “reato” di discriminazione territoriale è andata in scena.
È mancato il coraggio a Rizzoli, è mancata la sensibilità al Napoli. La lontananza del presidente De Laurentiis, fuori Italia per impegni cinematografici, non può essere una scusante. Anche il Napoli fa parte del sistema contro il quale spesso abbaia ma non morde. Adeguandosi, ha giocato.
Non è una scoperta che il calcio italiano, come l’intero Paese, è un sistema ipocrita, tollerante con i forti, insensibile con i deboli, povero di ogni principio etico, in mano a personaggi discutibili e sempre al centro di querelle di potere all’insegna di compromessi e prevaricazioni, in ginocchio davanti all’interesse economico che prevale su tutto. Da qui l’automatica prevalenza dei ricchi, la loro arroganza, la loro prepotenza.
La Roma si è defilata dall’episodio dello striscione infame. Come era scontato. I club, anche se americanizzati, hanno stretti rapporti con la tifoseria più violenta e ricattatoria. Le mandano i giocatori a inchinarsi platealmente dopo le partite, a chiedere scusa e perdono se hanno perso. I giocatori si sottopongono anche a “processi in diretta” dei più facinorosi come avvenne a Marassi a quelli del Genoa. Le squadre, a fine gara, vanno sempre a salutare la curva più oltranzista, uno sfregio al resto dello stadio mai stigmatizzato dai media.
Gli striscioni di Roma valgono lo zero spaccato a Rizzoli. La squalifica dell’Olimpico sarebbe automatica in un paese civile. Ma il dolore di Antonella Leardi non vale il business del calcio. Il bostoniano Pallotta pompa danaro nel povero pallone italiano e costruirà uno stadio. Il campionato, spezzettato e sfregiato dai palinsesti televisivi, deve essere salvo. Su tutto. Su ogni infamia, agguato, disordine, violenze e assassinii.
In ogni senso, il campionato italiano non è solo “poco allenante”, come dice Capello, in mano ai violenti, come denunciato dallo stesso Capello. È un campionato falsato da ipocrisie, sotterfugi, condoni, permissività oltraggiose, complicità, mancanza di responsabilità e di una guida al di sopra di ogni sospetto.
È il campionato che insulta il dolore di una madre e non succede nulla. Ma, come si dice? E’ l’Italia, bellezza. Questa Italia!
Mimmo Carratelli