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È fallito l’ambizioso progetto di Benitez di sprovincializzare il Napoli

È fallito l’ambizioso progetto di Benitez di sprovincializzare il Napoli

L’impressione, ma potrebbe non essere solo una impressione, è che col flop in Coppa Italia, che ha concluso due mesi con cinque sconfitte, dieci in totale nella stagione, si sia consumato il feeling tra De Laurentiis e Benitez.

L’imperioso ordine del presidente di tutti in ritiro immediatamente, come ai tempi romantici del pisano Anconetani, emergenze di un calcio superato, non solo scavalca l’allenatore madrileno, coinvolgendolo nel tracollo azzurro, ma dà il segnale preciso dell’irritazione senza riparo di De Laurentiis.

L’ambizioso progetto di Benitez, cioè sprovincializzare il Napoli per proiettarlo in una nuova dimensione, di squadra non più passiva, all’italiana, ma di tono più alto, cioè una squadra padrone del gioco, è fallito per la mancanza degli interpreti adatti. Non avendoli (centrocampisti che difendono e creano; difesa di livello), il tecnico spagnolo ha insistito col suo modulo e le sue idee, salvo cercare di proteggere meglio difesa e centrocampo (Gargano, il sacrificio di Callejon in ripiegamento e l’impiego di De Guzman) quando i risultati cominciavano a mancare, complice il declino degli attaccanti non più in grado di fare quel gol in più per vincere.

In qualche modo, Benitez è rimasto a mezza strada. Ha perso l’attacco effervescente della prima annata, non è migliorata la tenuta della difesa con l’aggiunta della crisi di Rafael e l’impiego di emergenza di Andujar. Ma, a parte gli impieghi tattici, la stagione grigia delle ali e il rendimento complessivamente a bassa quota di Higuain, più l’infortunio di Insigne, gli hanno tolto le armi dell’anno precedente.

Alla crisi di gioco (squadra ormai prevedibile, il Pipita isolato, la lunga linea grigia di Hamsik, le eterne amnesie difensive) si è aggiunta l’incapacità (squadra e tecnico) a raggiungere quella coesione di cuore, orgoglio e temperamento per essere caratterialmente irriducibili in campo.

Senza una guida illuminata sul terreno di gioco (la principale carenza di Hamsik, il finto guerriero Higuain, nessun regista in difesa a comandare il reparto con la delusione maggiore chiamata Albiol), il Napoli non ha avuto la personalità di un gruppo compatto che supplisse alla crisi di gioco con una dedizione totale nuotando vigorosamente sino a morire sulla spiaggia, capovolgendo l’allocuzione di Benitez. C’è morto ugualmente senza dare l’impressione di avere dato tutto, non il semplice impegno professionale, peraltro mai eccelso, ma la forza di un gruppo orgoglioso e consapevole di essere, sul campo, l’atteso paladino di una passione sconfinata, di una storia rispettabile e di ambizioni legittime. Non avere vinto molto, prima di queste stagioni, non può essere l’alibi di un presente che ha deluso le aspettative.

Se il momento del Napoli è compromesso (resta l’azzardo di proseguire in Europa League), il futuro è ancora più nero. Non solo perché i mancati introiti della Champions cui il Napoli puntava metteranno a rischio il bilancio per otto anni in attivo con legittimi e soddisfacenti dividendi degli amministratori della società (il presidente, tre della sua famiglia e il manager Andrea Chiavelli, braccio destro di De Laurentiis nella Filmauro), ma perché il futuro tecnico della squadra è ora sul filo del rasoio.

Sembra scontata, a questo punto, la fine dell’avventura di Benitez. Non è scontato che De Laurentiis, fortunato tre volte nell’individuare l’allenatore giusto (Reja che ha riportato la squadra in serie A; Mazzarri che ha conquistato uno storico secondo posto;  Benitez che, sulla carta, ha rifondato la squadra), azzecchi ancora la giusta guida tecnica.

Sono incerte le basi dalle quali il Napoli può ripartire setacciando il patrimonio tecnico e scremandolo dalle mediocrità e dalle delusioni. Si andrà avanti per forza d’inerzia sperando in uno scatto di temporanea riscossa. Il problema vero è domani. Che cosa fare e con chi farlo. Auguri, vecchio Napoli!
Mimmo Carratelli

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