ilNapolista

Buon compleanno Rafa Benitez, costruttore di geometrie calcistiche

Buon compleanno Rafa Benitez, costruttore di geometrie calcistiche

(Oggi Rafa Benitez compie 55 anni. Il Napolista lo ricorda con le parole di Marco Ciriello, tratte dal suo blog, mexicanjournalist@wordpress.com)
 
Rafael Benitez è uno che pensa lento. Slow thinking, direbbero a Liverpool. Incompatibile rispetto al tirare al campare, uno che ha un progetto sempre, anche se sta sull’orlo di un contratto. Uno che è riuscito a interpretare al meglio il peggio di Napoli, e a sopportare con una pazienza da Dalai Lama le critiche. Uno che potrebbe stare senza problemi nel calcio di ieri con Scopigno, che sedendosi di fianco chiede: «Dispiace se fumo?» E Osvaldo Bagnoli, un altro che pensava lento, che dice: «el tersin fassa el tersin e il median fassa el median». Ogni tanto li inverte, ma ci può stare, come ha invertito il ruolo di allenatore, cambiandolo rispetto alle abitudini napoletane. Quando si dovrà periodizzare questa stagione si scoprirà che proprio mentre la squadra scopriva la sua forza, intorno, la piazza, dava il peggio, dimostrando di non saper aspettare: concentrando allo stadio tutta l’inquietudine delle attese che subisce fuori quasi senza fiatare. E se a Napoli, nella sua moderata follia, c’è stata una parvenza di metodo, questa parvenza – che poi è concreta visione – è figlia di Benitez. Che è andato su come uno scalatore al Tour de France, pedalata dietro pedalata, mentre l’ammiraglia gli scandiva il ritardo, senza contare la costanza delle pedalate, e adesso che vede la cima, che la rivincita è possibile, Benitez non conta gli errori degli altri ma continua a pedalare, con un dinamismo intellettuale che va oltre il ruolo di allenatore. Il suo pensiero lento infastidisce molti, perché non in linea con la superficialità che corre veloce nei giudizi e nel racconto delle partite; risulta spiacevole perché basato su premesse complicate che il campionato italiano sembra non voler comprendere né acquisire; e in una rigorosa gerarchia delle conduzioni di squadre di calcio in piazze calde questa stagione è un saggio fondamentale di filosofia. La fede nel metodo e la capacità e la fiducia nella riformabilità del Napoli vanno oltre il programma renziano di riscrittura italiana. Benitez sottrae alla città il malessere che la anima, e in ogni partita vinta le regala una possibilità di cambiamento che non è solo quella effimera della gioia e del vanto, banale compenso dell’immediato, no, consegna con la candida ferocia che ha solo lo sport, un altro modo di fare, la supremazia del progetto, la costruzione – lenta e articolata – di questo, rispetto all’immediatezza del miracolo. È un costruttore di geometrie calcistiche senza fare tante storie, quelle che piacciono a Napoli, sempre in cerca di complici più che di maestri, che non vuole nessuno a darle torto, a fronteggiare le voraci pretese da capitale caduta che si riversano tutte in campo. Benitez è un eresiarca, la cui impresa si capirà quando la città sarà costretta a misurare il suo vuoto.

***

Rafael Benitez è la voce del Napoli, da lui può nascere ed edificarsi l’impresa. L’eventuale epopea di una Europa League degna di essere vissuta, la possibilità di farsi o meno divinità pallonara, nume di gol e statistiche, amore di una città che vive inchiodata ai sogni che devono sempre venire da lontano, da fuori, dal mare o dal cielo e mai dal suo ventre. Tutto questo Benitez lo sa, proprio perché quella è la sua voce che si fa corpo, voce che sta sul bordo estremo, quello che vive impigliato alle reti delle porte, e, che, per paradosso, segna più di ogni altra cosa: l’orlo del tempo cittadino. Benitez sa che si rischia di essere puniti per troppa passione – anche se scomposta e fischiante –, per questo mette le mani avanti, per questo sorride e dribbla domande sulla vittoria. Rafael Benitez è la voce del Napoli e di Napoli, che prova a tutelare l’ossessione, a regolare la voglia, a conservare e riprodurre quella che si scioglie in novanta minuti ma che per un mucchio di motivi è riassumibile in “occasione” con un rosario di aggettivi al seguito, una processione che cammina scomposta e troppo troppo rumorosa. E quell’occasione per Benitez è doppia, giocarsi una partita che deciderà la stagione, i discorsi dei tassisti per un anno, le abitudini di molte donne, i nomi che saranno pronunciati e che battezzeranno tempi e mesi e persino gli orari di ricevimento degli avvocati e dei medici. Perché Benitez, in quanto voce è anche confine, di quello che accadrà dopo, per lui e per la squadra. Perché è da lui che verrà fuori l’immaginazione di spazi e posizioni, e che rimbalzerà negli spigoli della città. Benitez è la voce del Napoli e di Napoli, quella che vorremmo ci fosse sempre, capace di sostituirsi alle esagerazioni e agli accanimenti, che è capace di supplire agli eventi con il progetto e non col santo, che elabora il gioco e lo spiega, che stabilisce la meta e ci arriva. Che cambia faccia alle cose e magnifica quello che ha, e no, non concede tregua all’emanazione del peggio che a Napoli è vortice. Benitez è la voce del Napoli e di Napoli portata in Europa senza gli scompensi, la sguaiataggine, e persino la tristezza delle lacrime dei tanti fallimenti, delle voragini aperte dalla pioggia e cantate da Nicola Pugliese, della politica mancata e dei sogni sudati a perdere, sgravata dai farneticatori. E, per questo, Benitez, deve per forza di cose farsi “poderoso Caballero”, seguendo i versi di Francisco de Quevedo (che, in un ritratto di Diego Velázquez, gli somiglia, persino) e spiegare ai suoi calciatori che la partita contro il Wolfsburg deve essere vinta, in virtù del suo essere voce, di quello che ha vissuto, di quello che ha già visto e conseguito, del suo Liverpool col Graz, del Milan rivoltato, del passato conquistato ed esibito. È un ragionamento spavaldo, certo, perché è così che bisogna ragionare andando in Germania. Fuori, lontano, la città lavorerà, imprecherà, si consumerà ancora più velocemente, nella frenesia di non pensare a quello che potrà succedere. Le voci no, si fanno moto, azioni, supporto. È la loro ricchezza. E quella delle squadre e delle città: è il dono di averle e di saperle misurare, pesare, tutelare. Perché le voci cambiano faccia alle squadre e le squadre cambiano faccia agli anni, li rigirano come quarzi.  
Marco Ciriello

ilnapolista © riproduzione riservata