Caro Massimiliano,
ora che il campo – si dice così, secondo una, a volte frettolosamente definita, bolsa retorica calcistica (si tratta del richiamo alla realtà e ai fatti che, spesso, nel giornalismo si disperde, essendo troppo impegnato a schierarsi tra tifoserie, qui il richiamo calcistico ci sta bene, preconcette) – ha rimesso le cose a posto e ha dato a Benitez quel che è di Benitez, ossia la patente di allenatore più che capace e di statura internazionale. E a De Laurentiis ha riconosciuto il merito di aver creduto in lui e di aver preso una società allo sfascio e di averla risanata e portata tra le prime del calcio nazionale. E di aver zittito i “gufi” – volendoci adeguare all’idioma oggi in voga – capitanati dal più diffuso quotidiano cittadino (era davvero divertente vedere le giravolte cui sono state costrette le sue firme calcistiche di fronte alle puntuali smentite: il modulo, il turnover, gli acquisti sbagliati, in primis Koulibaly, de Guzman…), con il contorno del circo delle tv private.
Quanto è successo, secondo me, non è circoscrivibile soltanto allo specifico del calcio. Non c’è forse un legame con le ricorrenti discussioni sui media di casa nostra e non solo? Ne cito le più recenti: di fronte all’investitura di Matera come capitale della cultura ci si è interrogati sulle ragioni per cui Napoli non riesca nemmeno a partecipare alla corsa. Oppure, prendendo a spunto il film di Martone su Leopardi, ci si è accapigliati, in modo davvero paradossale, sull’immagine che ne esce di Napoli e dei napoletani (del tutto condivisibile l’intervento liquidatorio del direttore Polito sul Cormez).
L’elenco è sterminato. È un ricorso infinito rispetto al quale non si riesce mai a mettere un punto. Anzi il punto si perde nelle nebbie sempre più fitte delle chiacchiere. Ed il punto, a mio, modestissimo avviso (si perché non si scopre nulla di nuovo), è che, qui più che altrove, non si riesce a fare sistema. Nel senso che non si riesce mai a ricomporre quel minimo di trama di un tessuto connettivo comune, culturale e sociale, anche identitario che è l’anticorpo in una società moderna al prevalere dei particolarismi ed ai corporativismi.
Insomma siamo, sempre e nella sostanza, al tutti contro tutti. Anche quando ci si finge paladini degli interessi della città.
Ecco non si spiegherebbe altrimenti una campagna così forsennata e ingiustificata contro Benitez. Siamo campioni nel “Viva il re, Abbasso il re”, e spesso i media cavalcano tali umori e, talvolta, li sollecitano. Ma, meno male, che nel calcio c’è il campo e lì non si può barare.
Mario Bologna